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Egitto, il Faraone molla. Anzi no.

Mubarak gela le speranze popolari, e sale la tensione

di Franco Bomprezzi

Torna prepotentemente in primo piano la crisi egiziana. Ieri per lunghe ore si era diffusa la voce che Mubarak avesse ceduto, e addirittura che stesse per lasciare il Paese. Invece, in serata, con la folla inviperita, ha ribadito in un videomessaggio che lascerà solo a settembre, quando si svolgeranno le elezioni. Una giornata incandescente a livello mondiale, che per una volta ha messo quasi in secondo piano le vicende interne.

“Mubarak si aggrappa al potere”, apre così il CORRIERE DELLA SERA, con quattro pagine dedicate ai fatti egiziani. Il commento, in prima, è di Franco Venturini: “La maschera del faraone e la sindrome tunisina”. E sempre in prima il richiamo all’analisi di Guido Olimpio: “La scelta ambigua dell’esercito”: Entrambi i pezzi proseguono a pagina 5. La cronaca della convulsa giornata vissuta ieri al Cairo alle pagine 2 e 3. Interessante una breve intervista al commediografo egiziano 75enne Alì Salem: “A 82 anni Mubarak ha i capelli nerissimi: Avrebbe dovuto lasciare che diventassero bianchi per rendersi conto che il tempo passa: Quando inganni te stesso tingendoli, non pensi al tempo. Che però va avanti, e la gente lo sente. In 30 anni, Mubarak ha avuto dei figli, quei figli sono diventati grandi, e anche loro si sono abituati a vederlo fuori dal tempo. Anche gli uomini della sua cerchia lo hanno imitato fingendosi giovani. E’ colpa sua. E’ stato grave. Nessuno può ingannare il tempo”. Parole che in Italia, in questi giorni, assumono un sapore strano e sorprendente. Ricca e vivace come sempre la cronaca dell’inviato Davide Frattini, a pagina 3: “La rabbia dei ragazzi di Piazza Libertà «Resteremo qui finché lui non cederà»”. E questo l’acuto commento di Franco Venturini, a pagina 5, che fa tre ipotesi sulla giornata di ieri. La prima, la più plausibile, è che vi sia stato un braccio di ferro fra esercito e blocco di potere attorno a Mubarak; la seconda, meno probabile, è che le voci sulle dimissioni siano state messe ad arte per provocare nuovi moti di piazza, dopo la doccia gelata del discorso televisivo; ma, aggiunge Venturini: “La terza possibilità ha qualcosa a che fare con quella specialissima nebbia mentale che talvolta si impadronisce degli uomini rimasti troppo a lungo al potere. Si può perdere, allora, il contatto con la realtà, si può pensare che non accada nulla di rilevante fuori dal proprio palazzo”…

 “Mubarak: poteri a Suleiman, ma resterò Esplode la rabbia nelle piazze d’Egitto”: è la foto notizia de LA REPUBBLICA. Riferisce dal Cairo Bernardo Valli: “La beffa finale del faraone di plastica”. Dopo un pomeriggio in cui si sono susseguite voci circa le dimissioni del raìs, ieri sera il presidente è andato in tv per dire al contrario che resterà: se ne andrà soltanto in settembre, e non subito come vuole la folla («Mi impegno a proteggere la Costituzione e il popolo e a trasferire il potere dopo elezioni eque e trasparenti», ha detto). «Mubarak aveva la faccia di sempre. L’espressione ritoccata dai chirurghi, nel tentativo di ringiovanirla, era come cristallizzata. I capelli tinti, quasi incatramati, erano impeccabili. Non c’era alcuna traccia di emozione sulla sua faccia. E le sue parole suonavano ferme». Un messaggio che ha lasciato incredula Piazza Tahir: «Buffone, non hai capito che devi andartene?» urlava la folla. La crisi egiziana precipita, annota Renato Caprile: «non ci resta che marciare verso il palazzo presidenziale, costi quel che costi, che ci sparino pure addosso. L’Egitto non meritava di essere preso in giro ancora una volta» commenta un manifestando esprimendo un sentimento assai diffuso anche in rete. «Mubarak ha un proposito sinistro: sta cercando di appiccare fuoco all’intero Egitto. Ecco il suo progetto è di disfarsi di noi, dandoci alle fiamme», sostiene il blogger Al Hamalawy, «scenderemo in piazza in milioni… Come oggi avremo al nostro fianco i sindacati indipendenti, gli ordini dei professionisti e le folle di cittadini che stanno unendosi a noi spontaneamente ogni ora». Quanto alle reazioni internazionali, il presidente americano che ieri si era schierato con il popolo ha dovuto incassare «lo schiaffo di Mubarak» come lo definisce Federico Rampini. «Siamo testimoni», aveva detto Obama, «della storia in marcia, che si sta facendo sotto i nostri occhi. È una grande trasformazione che accade perché il popolo egiziano chiede il cambiamento». «I giovani in piazza devono sapere che li sosteniamo». Di fatto però, nota il cronista, i vertici militari del Cairo, che proprio due settimane fa erano in visita a Washington, si rivelano interlocutori sfuggenti. Proprio sui militari si concentra l’intervista al politologo Gilles Kespel: «È una rivoluzione incompiuta i militari frenano il cambiamento» sostiene lo studioso, avvertendo che «semplici riforme cosmetiche non calmeranno le folle».

IL GIORNALE titola in prima, taglio basso, “Mubarak cede il potere ma resta”. Due le pagine dedicate alle vicende egiziane. Nella prima sono proposti due commenti. Il primo è di Fiamma Nirenstein e titola “Attenti, copiare la Turchia non significa democrazia” in cui la giornalista e deputata lancia un allarme «c’è chi auspica un modello laico come a Istanbul. Ma i rischi sono enormi: alla fine lo spirito islamista avrebbe il sopravvento» infatti «all’inizio questa soluzione potrebbe neutralizzare le forze religiose, ma alla lunga esse hanno nel mondo islamico una forza, un rigoglio ideologico e pratico straordinario». Il secondo invece è di Marcello Foa che scrive “Obama torna alla strategia di Bush”. Ecco cosa sta accadendo secondo il giornalista «Come si vincono le guerre nell’era della globalizzazione? Muovendo gli eserciti? Talvolta sì, ma il risultato non è sempre soddisfacente e i costi spesso risultano superiori ai benefici. Ne sa qualcosa George Bush che nel 2001 si scagliò contro i talebani in Afghanistan e nel 2003 contro Saddam in Iraq. Siamo nel 2011, quei conflitti durano ancora e la vittoria finale non è assicurata. Se l’America avesse usato altri metodi, probabilmente avrebbe risparmiato migliaia di vite, molti miliardi di dollari e ottenuto risultati più concreti e duraturi. È la lezione che ha appreso Barack Obama, il quale in realtà sta combattendo la stessa guerra di Bush, nel senso che ne condivide le finalità strategiche. Che cosa voleva George W? Esportare la democrazia e, soprattutto, sostituire in Medio Oriente regimi decadenti, retti da leader impopolari, con regimi più rispettabili e leader più affidabili. Pensateci bene: è esattamente quel che si propone Barack Obama in Egitto e Tunisia. A cambiare è il metodo». Nel particolare in cosa consiste questo nuovo approccio? «L’attuale inquilino della Casa Bianca opta per il soft power e per il proseguimento delle tecniche usate in Ucraina, Georgia e Serbia nella prima metà degli anni Duemila. Ricordate la protesta degli studenti di Belgrado che costrinse Milosevic alla fuga? E l’emozionante Rivoluzione arancione di Kiev? E quella Rosa contro Shevardnadze? Allora i media si emozionarono, esaltando la rivincita del popolo; oggi, però, sappiamo – documenti alla mano – che quelle rivolte non furono affatto spontanee, ma preparate con cura e sapientemente attizzate da società private di Pubbliche relazioni, che agivano per conto del Dipartimento di Stato. Washington aveva capito che, agendo con la dovuta cautela, la piazza poteva essere usata a proprio vantaggio. Lo stesso sta avvenendo in queste settimane in Tunisia e in Egitto». Nella seconda pagina invece spazio alla cronaca con il discorso di Hosni Mubarak e il suo cedere i poteri senza dare le dimissioni in un lungo articolo di Rolla Scolari “Mubarak cede i poteri al vice ma non se ne va”. Gian Micalessin con “Sopravvissuto a sei attentati e a trent’anni di lotte di potere” in cui propone un ritratto del dittatore egiziano e dei suoi 30 anni di dittatura. In taglio basso chiude Manila Alfano che, firmando “Profughi tunisini in Sicilia. E si teme l’ondata egiziana” analizza le possibili ricadute sull’Italia della caduta del regime. «Tra mercoledì notte e giovedì a Lampedusa sono sbarcati 221 magrebini che si sono aggiunti ai 208 clandestini già arrivati a Lampedusa tra martedì e mercoledì. Si è riaperta “l’autostrada del mare” nel canale di Sicilia».

«La mummia» è questo il titolo de IL MANIFESTO che sovrasta la grande fotografia di Mubarak che parla alla televisione nell’atteso discorso alla nazione di ieri sera. «È caos in Egitto. L’esercito ha preso il potere annunciando la “buona notizia”, le dimissioni nella notte di Mubarak in tv. Ma il raìs non se ne va e delega tutti i poteri al vice Omar Suleiman, l’uomo forte degli Usa in Medio Oriente. La gioia di piazza Tahrir, dopo una giornata di scioperi e proteste, diventa rabbia. Ue e Italia tacciono. Obama: “Lì si fa la storia”. La protesta non smobilita» riassume il sommario che rimanda alle quattro pagine (dalla 2 alla 5) interne dedicate ai fatti d’Egitto. Sempre in prima inizia l’articolo dell’inviato Michele Giorgio: «Reportage – La gioia di piazza Tahrir. Poi le scarpe contro Mubarak». Si legge: «(…) La folla ondeggiava e cantava ieri sera mentre in Piazza Tahrir, attraverso Twitter, in omaggio ad una rivolta cominciata in internet, giungevano queste parole scritte da Wael Ghoneim, il cyber-militante simbolo dell’insurrezione arrestato dalla polizia politica e liberato dopo 12 giorni di detenzione. Peccato che il Faraone, che pareva avesse ceduto di schianto dopo 17 giorni di manifestazioni oceaniche, alla fine spiazza tutti e non se ne va. Nonostante i milioni di persone che urlavano un solo slogan: “Hosni Mubarak vattene”. Nonostante Obama, che annunciava che “lì si fa la storia” (…)» e prosegue a pagina 2 (dove l’articolo ha il titolo di apertura delle pagina «Fino all’ultimo è faraone»): «(…) La gioia si è trasformata in rabbia immediatamente dopo il discorso di Mubarak. In migliaia hanno preso a lanciare scarpe contro il Faraone in segno di dispregio, si è alzato un coro che chiedeva le dimissioni e sono partite le invocazioni all’esercito ad andare insieme dal raìs per deporlo. Oggi centinaia di migliaia di egiziani continueranno a manifestare, al Cairo e nel resto del paese. La caduta del presidente non è che la prima delle rivendicazioni dei gruppi di giovani e della società civile che hanno guidato la rivolta. (…) Dagli Usa Barack Obama si è sbilanciato poco, limitandosi a ripetere quanto già dichiarato più volte dall’inizio della crisi egiziana. (…) Belle parole ma la Casa Bianca ha già fatto schierare navi da guerra nel Mediterraneo meridionale, pronte ad intervenire per tenere aperto il Canale di Suez se in Egitto non avverrà la “transizione ordinata” (…)». A pagina 4 la ricaduta diplomatica italiana è affidata all’articolo «Un ministro a caccia di un ruolo» in cui si osserva che: «Il ministro degli esteri italiano millanta “una intensa attività diplomatica” sulla crisi nel Maghreb. Ma, oltre alla difesa di Berlusconi, non può nascondere lo sgomento per la caduta di campioni della “stabilità” quali Mubarak e Ben Ali. O la “comprensione” per la mancata svolta del Cairo». L’articolo si conclude: «(…) Per dare un segnale che esiste, Frattini, lunedì andrà in Giordania, dove verrà ricevuto da un altro campione in affanno della stabilità, il re Abdullah, con cui condivide, naturalmente, “la necessità di rilanciare il processo di pace israelo-palestinese”, e giovedì riceverà a Roma il nuovo ministro degli esteri tunisino Ounaies (…) Aria fritta e rifritta che non nasconde lo sgomento per la scomparsa di leader amici, “stabili” e “saggi”, del calibro di Ben Ali e Mubarak. Magari nei prossimi giorni o mesi, Frattini potrebbe anche ritrovarsi a dover offrire al faraone caduto in disgrazia asilo politico in Italia, visto che qui c’è già la sua nipotina».

“Mubarak sfida la piazza”. Titolo centrale per il SOLE 24 ORE in prima pagina dedicato al discorso del presidente egiziano che gela le attese: poteri a Suleiman, ma il Rais resta fino alle elezioni e dichiara: «Non accetto diktat stranieri». I servizi sono a pagina 4 e 5. Dallo stupore malcelato della Casa Bianca che si aspettava invece le dimissioni di Mubarak, alle reazioni nel Medioriente rispetto alle parole del numero uno egiziano.Intervista alla regista Shirin Neshat: «Ero in Egitto in dicembre e ho seguito da vicino i fermenti delle proteste, che abbiamo visto esplodere negli ultimi giorni per abbattere il governo. Qui, come in Iran, i partiti di opposizione non hanno niente di ideologico, vogliono semplicemente il cambiamento». Tra il Mubarak sempre più deciso a non demordere e la piazza, però, c’è l’esercito. Un esercito spaccato: nel suo primo comunicato e nella sua discesa in piazza con quattro ufficiali, proclamava con l’altoparlante di essere vicino al popolo e di voler difendere la legalità costituzionale. Qualche ora più tardi, un altro ufficiale in uniforme gridava slogan rivoluzionari, agitando la folla: «Mubarak, vattene! Questo paese non è tua proprietà!». Ma la folla come reagirà? Nelle sue rivendicazioni, al primo posto c’erano la partenza di Mubarak e il rifiuto di porre al suo posto Suleiman. Intanto, una cosa è certa: le speranze di un abbandono di Mubarak fanno riesplodere la rabbia di piazza.

AVVENIRE apre con il titolo “Egitto, un passo nel dopo” e alle pagine 3 e 5 ricostruisce la drammatica giornata al Cairo. Tre gli aspetti sottolineati: le Forze Armate che si dichiarano garanti delle legittime richieste del popolo, il discorso del rais alla nazione per annunciare che resta in carica fino a settembre e che promette elezioni trasparenti, la piazza che si infiamma di nuovo nonostante l’invito di Suleiman alla calma. Il commento è lasciato a Luigi Geninazzi che nell’editoriale intitolato “Il vero padrone”  sottolinea come sia l’esercito egiziano a prendere le redini. «La vicenda egiziana è sempre più ingarbugliata, alla fine di una giornata drammatica, vissuta con il fiato sospeso dopo l’annuncio di una svolta che aveva galvanizzato la piazza. E che alla fine lascia la folla con la delusione di dimissioni che non sono arrivate. Eppure, è già possibile trarre qualche lezione. L’arbitro che ha deciso di cercare di mettere fine alla lunga e drammatica partita è l’esercito. Anche se la parola fine non è stata scritta…. Di fronte alla pressione dal basso la piramide del presidente-Faraone ha cominciato a perdere pezzi, in una confusa e tardiva perestrojka che però non ha investito del tutto il potere del vecchio leader, ostinatamente attaccato alla poltrona… Mubarak resta come un simulacro vuoto, sotto la tutela dell’esercito, vero padrone della situazione. Le Forze Armate si confermano l’arbitro principale del durissimo braccio di ferro tra la protesta popolare e il vecchio raìs. E oggi sarà un altro venerdì di collera. Una collera sempre più grande». A pagina 5 un approfondimento ricorda che “le forze armate egiziane hanno sempre espresso tutti i presidenti degli ultimi 60 anni” e sottolinea la posizione di Obama che insiste sulla svolta. Il presidente americano ha detto che gli Usa faranno di tutto per garantire che si arrivi a delle libere elezioni. AVVENIRE pubblica poi un’intervista al professor Wael Farouq, docente di arabo al Cairo e ideatore del “Meeting al Cairo” secondo cui «Non serve una vittoria simbolica. Abbiamo chiesto la fine del regime, non di una persona sola. La nostra scelta pacifica sarà quella vincente».

Il titolo principale de LA STAMPA in prima è dedicato all’Egitto “Mubarak resta al suo posto. Esplode l’ira della piazza”. Alle pagine 2 e 3 la cronaca della giornata, a pagina 5 un’analisi di Claudio Gallo “I Fratelli Musulmani «Un regime folle il paese brucerà»”: «L’impressione è che Mubarak abbia voluto fare uno sgarbo al potente alleato americano. La mossa a sorpresa sembra segnare una spettacolare frattura all’interno del regime. È probabile che l’esercito si fosse davvero messo d’accordo con Washington per liberarsi dello scomodo Presidente. Solo nel pomeriggio il capo della Cia Leon Panetta aveva previsto che si sarebbe tolto dai piedi prima di notte. E invece no, il Faraone non ha mollato, anzi, in qualche modo ha lanciato un messaggio a nome di tutti i dittatori arabi. (…) L’esercito dovrà scegliere se schierarsi con la piazza, che sicuramente reagirà alla sfida del Raiss e contro i suoi vecchi camerati. Oppure se affrontare la crisi all’interno del sistema in nome di una angusta Realpolitik. Una scelta quest’ultima che porterebbe al confronto diretto con i dimostranti. Una partita «lose/lose», qualsiasi cosa fai perdi. (…) Oggi, venerdì della preghiera islamica, lo sconcerto facilmente si trasformerà in rabbia e molti protagonisti di questa tragedia dovranno decidere da che parte stare».
 
E inoltre sui giornali di oggi:

RAI
LA REPUBBLICA – “Il nuovo bagaglio del Pdl sui talk show Rai”. Lo chiamano principio di ridondanza, ovvero «se Bruno vespa il lunedì tratta il caso Ruby-Berlusconi, per otto giorni nessun talk show potrà tornare sull’argomento». Questo è scritto nell’Atto di indirizzo sul pluralismo, titolo paradossale per un documento steso dal senatore Pdl Alessio Butti che parte dal presupposto che «la sinistra occupa la Rai… che relega in posizioni assolutamente minoritarie le idee, i valori e le proposte della maggioranza degli italiani». Non siamo a Scherzi a parte, commenta Goffredo De Marchis.

CAIMANO
IL MANIFESTO – È il secondo argomento della prima pagina del MANIFESTO: l’intervista a Nanni Moretti fatta dal direttore Norma Rangeri «”Il Caimano c’era già e tanti gli somigliano” Parla Nanni Moretti», mentre subito sotto questo lungo richiamo con l’inizio dell’articolo apre la colonna alla base della quale c’è un altrettanto lungo richiamo alla «Crisi di nervi e governo» (gli articoli sono alle pagine 6 e 7). Scrive Norma Rangeri: «Nanni Moretti rompe il lungo silenzio di questi anni e torna a parlare dell’Italia del Caimano, di quel che il suo film aveva visto, di quel che forse gli italiani non vedono più, avvolti e sopraffatti da un conflitto di interessi che ci ha cambiato. (…) In tutti questi anni Nanni Moretti non ha mai accettato di rilasciare interviste. (…) Tutti volevano chiedergli del Caimano, di quella scena finale, quando i sostenitori di un Politico, finalmente processato, e condannato, lanciavano una molotov contro il Tribunale. E oggi che quello scenario sembra avvicinarsi, Nanni rompe il lungo silenzio. Trascinato proprio dal rifiuto della Rai di trasmettere Il Caimano». Alla domanda riferita all’ultima scena del film: «Ma come avevi fatto a “vedere”, cosa ti aveva ispirato quella scena?», risponde: «Quelle fiamme sono macerie simboliche: costituzionali, istituzionali, culturali. Macerie che si lascia alle spalle l’avventura politica di Berlusconi. Il fatto è che ci siamo abituati un po’ tutti, anche elettori e elettrici di sinistra, a cose che in una democrazia non sono per niente normali. E uno dei compiti del cinema è mostrare quello che ancora non riusciamo a vedere o quello che non riusciamo più a vedere. Berlusconi, il politico intendo, queste cose le ha sempre dette e sempre fatte. Le sue aggressioni alla magistratura non sono una novità. Sono stato un po’ attento». Le due pagine politiche si aprono con «L’ultima cavalcata» articolo di Matteo Bartocci «Le vite degli altri contro il Caimano . La Germania della Ddr che ha vinto l’Oscar nel 2007 contro l’Italia berlusconiana di Nanni Moretti pre-Prodi 2006. Lo scontro politico e istituzionale trionfa sull’immaginario. Non è un caso che proprio mercoledì sera, il film italiano è stato censurato su Raitre dal «generalissimo» Masi mentre Raidue ha proposto la splendida pellicola tedesca in prima serata. Messaggi subliminali di una videocrazia da ancien régime. (…) Il premier sa che non gli resta più molto tempo. La retromarcia sul decreto intercettazioni e il mega flop sulla “scossa” all’economia sono solo due esempi tra i tanti. Berlusconi salirà al Colle la settimana prossima ma andare contro tutti – opposizioni, Consulta, Quirinale, magistratura, una parte della polizia e dei servizi di sicurezza, sindacati e Confindustria, gerarchie ecclesiastiche (ieri Avvenire ha concesso in sordina l’estrema unzione), il resto del mondo a parte la Russia – serve soltanto a mobilitare i “suoi” elettori (…) » che conclude: «(…) Sotto il grido “Berlusconi o morte” ancora non si intravedono i pugnali di chi lo tradirà. Ma il terremoto Roma-Milano rischia di far crollare l’Italia».

ROM
IL SOLE 24 ORE – “Rom fa causa allo stato e vince”, questo il titolo di un articolo, taglio medio, a pagina 18. Lei, Mediha Seferovic, rom bosniaca, ha ottenuto dalla Corte di Strasburgo un risarcimento di 7500 da parte dello Stato italiano, per essere stata illecitamente trattenuta in un Cie.

MINORI
AVVENIRE – A pagina 6, a commento del caso delle gemelline svizzere scomparse e probabilmente uccise, i dati sui bambini contesi della task force interministeriale creata due anni fa per fronteggiare le situazioni più compresse. Pronta una “Guida per i genitori” con le strategie contro le liti. Due i casi raccontati: un padre che da 7 anni non vede la figlia in Danimarca con l’ex moglie e una mamma “derubata” vittima del fondamentalismo che ha scritto il libro “Lettera a un bambino rapito”.

LEGA
ITALIA OGGI – “La Lega Holding sta perdendo pezzi” . Secondo il pezzo che il quotidiano dei professionisti ha pubblicato nella sezione Primo Piano a pag 7, la galassia societaria del Carroccio è in grosse difficoltà economiche. Chiuse due società che si occupavano di sondaggi, e attività di tour operator e una terza società svalutata in quanto il patrimonio netto è risultato negativo. Un’altra società ha chiesto ad Equitalia il beneficio di una rateazione nel pagamento di alcuni debiti.

BANCO FARMACEUTICO
AVVENIRE – A pagina 12 dedica un articolo al Banco farmaceutico che sbarca in Europa. Domani è la giornata in tutta Italia ma anche in Spagna e Portogallo. In 3.200 farmacie italiane di oltre 1.200 comuni sarà possibile donare un medicinale ai poveri. In dieci anni raccolti due milioni di medicinali senza obbligo di ricetta. 


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