Mondo

Edwards: per favore, non facciamo i Talebani

Edwards che per anni ha lavorato a Oxfam e Save the children, oggi sulle false ong invita alla prudenza: "Delegittimare tutti può essere controproducente".

di Carlotta Jesi

Nella primavera del 2000, mentre il popolo di Seattle sfilava per le strade di Washington in segno di protesta contro le politiche del Fondo monetario internazionale, Michael Edwards trovò due attivisti fuori dalla finestra del suo ufficio. Al quinto piano del quartier generale della Banca mondiale. In puro stile no global, si erano arrampicati sulle vetrate del palazzo per spaventare il funzionario di turno. E invece si trovarono di fronte Edwards: specialista in società civile alla World bank, certo, ma con alle spalle15 anni di esperienza sul campo come operatore di Oxfam e Save the children e un bestseller sulle ong: Future Positive. Il funzionario aprì loro la finestra e cominciò a discutere di global governance, etica, non violenza e strategie per la società civile. Temi che Edwards rilancia oggi da New York ,dove dirige il Governance and civil society program della Ford Foundation – insieme a una proposta per le ong: per non ripetere gli errori di Genova, prima del vertice del Qatar, adottate un codice di condotta che vi distingua dai violenti. Vita: Più della metà delle ong accreditate per il vertice di Doha sono business initiated ngo, ovvero enti non profit che difendono gli interessi delle aziende. Che ne pensa ? Michael Edwards: La presenza di lobby commerciali al Wto dà al mondo del business una doppia possibilità di influenzare i lavori – nelle assemblee e nei corridoi – mentre le ong ne hanno una sola. È una situazione difficile da giustificare. Vita: Cosa si può fare per evitare che una definizione troppo generica di ong alla fine penalizzi gli enti davvero impegnati a costruire un mondo diverso e faciliti il compito di lobby commerciali e governative? Edwards: Accusare di falsità ed escludere dalla scena internazionale delle ong perché difendono interessi commerciali, è pericoloso. Sarebbe come isolare qualcuno perché crede in un Dio o sostiene un partito diverso dal nostro. Il fatto che possiamo non essere d?accordo con queste ong, non le rende illegittime. E attenzione, perché quella di tacciare una ong come illegittima, minarne la credibilità, è una tecnica che molti governi hanno già usato contro la società civile. Vita: Niente caccia alle streghe, d?accordo. Rimane il fatto, però, che le ong false esistono. Che in Qatar le lobby industriali hanno preso il posto delle ong dei paesi poveri che non possono pagarsi il viaggio e che, da Bruxelles a Durban, come organizzazioni non governative si spacciano enti creati dai governi per influenzare la politica e da gruppi di multinazionali. Sedicenti ong, insomma, cui vanno i fondi, oltre che gli accrediti, della società civile. Davvero non c?è mezzo per tutelarsi? Edwards: Certo che c?è: adottare un codice etico, di non violenza, trasparenza e continua apertura verso le posizioni degli altri. Per non essere confuse con gruppi che in mente hanno tutto tranne la costituzione di un diverso modello di sviluppo, come è successo a Genova, le ong devono hanno due strumenti a disposizione: la trasparenza e la serietà. Se i governi, i media e l?opinione pubblica sanno con sicurezza chi sei, chi ti sostiene, a chi vanno i soldi che raccogli e cosa fai, automaticamente ti preferiscono a ong meno trasparenti. Vita: All?ultimo G8 il Genoa Social Forum si è presentato come una rete di ong non violente, ma quasi tutte le sue anime sono state travolte da polemiche e molte delle sue proposte più interessanti travolte da un generico no alla globalizzazione. Quali sono i punti più importanti da inserire in un codice di condotta che faccia davvero la differenza? Edwards: Oltre alla non violenza e a strategie che promuovano un nuovo modello di sviluppo, oltre che boicottare l?attuale sono senza dubbio fondamentali: trasparenza, governance interna, struttura, gestione dei fondi, bilanci trasparenti, reputazione, risultati.


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