Economia

Educatori: professionisti del welfare, non missionari

Solo un approccio globale può fare uscire il nostro mondo da una anacronistica visione volontaristica e missionaria, per attribuirgli finalmente il ruolo che gli spetta nella modernizzazione del welfare e del Paese. Serve un profilo collocato in ambito sociale, che raccolga il meglio delle attuali formazioni universitarie ed integri le competenze pedagogiche e riabilitative con innovativi saperi imposti dalle nuove domande una società in rapida evoluzione

di Fabio Ruta e Andrea Rossi

Le riflessioni di Francesco Crisafulli pubblicate da Vita hanno il pregio di riaprire il dibattito sul futuro delle professioni educative ed il merito di ragionare attorno a competenze e identità, anziché perpetuare tensioni e conflitti interni alla categoria. Con Francesco non siamo d'accordo su tutto ed in passato abbiamo spesso assunto posizioni contrapposte: ma sempre nel dialogo, nel rispetto e nella reciproca stima. Il suo intervento si discosta e si smarca dai toni più duri ed ultimativi assunti in questi anni dalla sua stessa associazione.

Riteniamo che, se le professioni educative (ed in particolar modo i profili di educatore professionale e pedagogista) versano in uno stato di confusione normativa e scarsi riconoscimenti, ciò si debba a più fattori. In primis alla “guerra fredda” e la tendenza alla conservazione ed al mantenimento dello status quo interna ai poli universitari, ma subito dopo alle divisioni e alla autoreferenzialità delle principali rappresentanze di categoria. Se emerge la consapevolezza che occorra abbassare i toni conflittuali e le contrapposizioni corporative, innalzando il livello del dibattito attorno ai contenuti ed alla ricerca, è un bene per le professioni educative e per le soggettività fragili di cui ci occupiamo.

Noi MILLE abbiamo fatto della riflessione sui temi della formazione e della identità professionale, del riconoscimento della dignità contrattuale e salariale del lavoro educativo, il cuore del nostro impegno. A fronte della esistenza di due profili di Educatore Professionale, quello sociopedagogico e sociosanitario, ci siamo rifiutati di schierarci per la prevalenza dell'uno sull'altro. Abbiamo sondato il parere della categoria registrando quanto venga avvertito come una “anomalia" italiana la esistenza di un albo collocato in ambito sanitario per educatori, professione dai caratteri multidisciplinari ma il cui “centro di gravità permanente” è la cultura pedagogica ed umanistica. Abbiamo però allo stesso tempo criticato un certo “classicismo” della formazione universitaria degli educatori in ambito umanistico e proposto che si giunga ad un profilo unico di “social educator”, sul modello prevalente in Europa. Un profilo collocato in ambito sociale, che raccolga il meglio delle attuali formazioni universitarie ed integri le competenze pedagogiche e riabilitative con innovativi saperi imposti dalle nuove domande una società in rapida evoluzione.

Ha ragione Francesco a porci di fronte agli interrogativi che questa crisi pandemica rivolge alle nostre società ed alle professioni educative. Paradigmi che sembravano incrollabili sono stati travolti. Emblematico è il nodo della tecnologia e della educazione tramite piattaforme e social, che ha assunto in questa crisi un ruolo centrale: occorrerà alimentare riflessioni sull’utilizzo della tecnologia, sai nella pratica dei professionisti già attivi sia nella formazione di base. Ma vanno considerati anche, ad esempio, il rapporto tra educazione, pedagogia e strutturazione dello spazio urbano e mobilità in funzione della qualità di vita delle comunità locali. Così come costrutti tipici del giornalismo sociale e della informazione su tematiche sociali ed educative, oggi lasciati spesso alla cronaca sensazionalistica o alle fake news. O la complessità degli aspetti legislativi che coinvolgono la professione, spesso sottovalutati quando non del tutto ignorati.

Pensando ad un possibile, futuro, bagaglio formativo delle professioni educative si possono persino immaginare nuovi ambiti di impiego, mentre oggi si scatena un assurdo risiko su quello già esistenti. E giungono agli occhi alcune evidenze.

La prima dovrebbe essere scontata ma non lo è: i saperi e le discipline non sono in conflitto e contrapposizione tra di loro. Ad esserlo sono i poteri corporativi. Pedagogia, filosofia, psicologia, diritto, scienze riabilitative: questi campi del sapere si intrecciano e contaminano, hanno radici in comune e sono essenziali a comporre una idea di tutela della salute e della qualità di vita, di coesione e protezione sociale. Sono coessenziali. Avremmo bisogno di un nuovo archeologo del sapere come Michel Foucault per capire perché, paradossalmente, queste discipline (che appartengono al continuum della conoscenza) finiscano nella società odierna per costituire campi discreti ed avversi. Campi – ci riferiamo qui a certe rappresentanze degli EP sociosanitari e sociopedagogici – che si guardarono cagnesco rivendicando riserve professionali e reciproche esclusioni. Gettando la categoria degli educatori nella marginalità, dilaniata da lotte intestine. “Balcanizzata”, come si è spesso detto. Noi MILLE abbiamo scelto la via opposta: quella di “rompere gli scatoloni" (oltre alle scatole) dei compartimenti stagni, proponendo in ogni ambito di lavoro la “compresenza" ed “armonizzazione" dei due profili di educatore. E, per i medesimi settori, la presenza e valorizzazione della figura del Pedagogista come specialista di secondo livello del lavoro educativo (sulla attualità del lavoro pedagogico suggeriamo di seguire i volumi della collana “la pedagogia in risposta della complessità” a cura di Fabio Sestu). Professionista che non può essere confinato nell'ambito di intervento della età evolutiva, ma che dipana le sue competenze sull'intero arco di vita dei soggetti e dei sistemi organizzativi.

L'altra evidenza principale che emerge, pensando alla formazione delle professioni educative ed in particolare degli educatori, è che occorra guardare alla realtà europea per superare contraddizioni tutte italiane. Urgente mettere mano a curriculi formativi che abilitino al lavoro in ogni settore e rendano al nuovo profilo automaticamente equipollenti gli attuali educatori professionali sociopedagogici e sociosanitari. Mettendo fine a questo circo che sta facendo impazzire migliaia di professionisti e uffici personale di tutta la penisola. Questi curriculi formativi dovrebbero fondarsi su un pilastro: il rapporto ricorsivo e circolare tra esperienza e conoscenza, tra teoria e prassi. Tra apprendimenti in aula e sui testi e apprendimenti nei luoghi materiali della educazione: i servizi. Impostazione valida sia per la formazione di base triennale, che per le specialistiche magistrali e ancora di più la formazione continua. Formazione continua che non può essere confinata al solo modello ECM: ma deve integrare elementi di critica pedagogica e pratica autoriflessiva. Rispetto a questi ultimi aspetti la tradizione delle scuole professionali regionali (di cui una valida ricostruzione contenutistica può essere rintracciata in “Le competenze dell’educatore professionale” a cura di Walter Brandani e Paolo Zuffinetti) avrebbe ancora molto da dire per la marcata prossimità alle reti dei servizi territoriali.

Noi MILLE, prima della doverosa interruzione e sospensione dovuta al far fronte alla emergenza coronavirus, lanciammo una petizione volta a fermare il caos che investe le professioni educative. Questa petizione, ancora attiva sulla piattaforma change.org ha già superato l’adesione di oltre 4.600 colleghe e colleghi. Si chiede una moratoria dell'albo e degli elenchi speciali e la istituzione su mandato interministeriale di un tavolo tecnico che porti finalmente ad una legge quadro organica, che sappia armonizzare la congerie normativa contraddittoria e complessa che riguarda le professioni educative. E che finalmente porti a dare una certezza ai professionisti del settore, superando quella confusione su ruoli e profili che oggi rintracciamo ovunque: dal settore sanitario, a quello scolastico, a quello penitenziario. In questi giorni abbiamo inviato al governo, ai ministeri ed alle istituzioni preposte, una lettera per chiedere l'avvio del tavolo tecnico. Tavolo tecnico auspicato anche negli esiti delle audizioni in VII commissione al Senato, nella “indagine conoscitiva per la ridefinizione dei profili e degli ambiti occupazionali delle figure di educatore e dei pedagogisti”.

Allo stesso tempo abbiamo in animo di aprire un altro grande capitolo oltre a quello della definizione della cornice normativa e “istituzionale” delle nostre professioni. Il capitolo – strettamente connesso e conseguente al precedente – è quello della materialità delle condizioni del lavoro educativo e della tutela della dignità salariale, contrattuale e della salute psicofisica dei lavoratori. Questioni che purtroppo sono state spesso rimosse e hanno generato spesso situazioni drammatiche (consigliamo il testo “Educatori. Sfruttati, malpagati, ricattati” di Maria Cristina Faraci, Daniele Grassoni e Maurizio Mozzoni). Enti gestori e sindacati devono negoziare contratti che garantiscano salari congrui al livello di formazione universitaria e di responsabilità, abolire le notti passive e part- time verticali imposti, imporre ai servizi supervisioni obbligatorie e rapporti utenza personale corretti, turnistiche sostenibili. Sosteniamo con forza anche la riflessione sul tema della particolare usura di una professione come quella dell'educatore. Professione altamente esposta a livello emotivo e psicologico ai rischi di burnout e stress lavoro correlato. Occorre quindi che la regolamentazione del lavoro educativo contempli misure di prevenzione e cura del burnout (si legga su questo tema “Il mestiere (im)possibile. L'educatore tra passione, impegno e rischio burnout” a cura di Sara Arrighi, Laura Birtolo e Sara Loffredo). Tra queste pensiamo a benefits aziendali per promuovere il necessario recupero psicofisico e benessere personale, periodi sabbatici di lavoro di ricerca in distaccamento dall'intervento diretto sulla utenza, diversificazione mansionaria in funzione del tutoring per i colleghi nella fase conclusiva della carriera, anticipo della età pensionistica per lavoro usurante. E qui occorre fare un inciso, per lavoro usurante (a differenza di quello gravoso) in Italia si intendono fondamentalmente professioni esposte al rischio fisico (finanche gli autisti). La definizione ufficiale di sindrome del Burnout da parte dell'OMS cambia necessariamente il quadro. E deve essere interpretata e recepita tanto nei contratti collettivi nazionali di lavoro, quanto nella estensione alle helping profession della definizione di lavoro usurante ai fini dell'anticipo della età pensionistica.

Infine, è di questi giorni l’approvazione in Commissione bilancio della Camera di un emendamento che rilancia il comma 4 art 22 legge 328/2000, legge quadro sul Sistema dei Servizi Sociali: non è ancora chiara quale potrà essere in concreto la portata di questo emendamento, ma è facile intuire che anche questo passaggio avrà ricadute sugli educatori come attori del sistema dei Servizi. Noi MILLE, giubbe rosse garibaldine, poniamo insieme queste questioni. Nella convinzione che solo un approccio globale possa fare uscire il nostro mondo da una anacronistica visione volontaristica e missionaria. Per attribuirgli finalmente il ruolo che gli spetta nella modernizzazione del welfare e del Paese.

Fabio Ruta, Vicepresidente Associazione MILLE

Andrea Rossi, Presidente Associazione MILLE

Photo by Olesya Grichina on Unsplash

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