Welfare

Educatori professionali: serve una legge ad hoc

Per uscire dal "caos normativo" sull'Educatore Professionale, è necessario arrivare a una legge ad hoc. L’ANEP propone quattro punti per costruire l'unità della figura professionale, dentro un delicato equilibrio tra garanzie dei cittadini-utenti, degli operatori, dei servizi

di Francesco Crisafulli e Nicola Titta

Si avvia a conclusione il ciclo di audizioni tenute in Senato presso la settima Commissione permanente “Profili e ambiti occupazionali di educatori e pedagogisti”. Registriamo spunti interessanti, che consentono uno sguardo a trecentosessanta gradi sulla professione; questo è potuto accadere soltanto coinvolgendo la categoria professionale e i protagonisti informati. La figura dell’educatore professionale è stata esaminata sotto diversi punti di vista, occupazionale, formativo, storico ed è emersa ormai da tutti l’esigenza di avviare un tavolo di lavoro per un progetto di riordino legislativo che consenta un esercizio professionale chiaro, unico e definito.

Proponiamo non solo la necessità ma la piena disponibilità ad avviare un tavolo nazionale e ci aspettiamo che vi sia un atteggiamento collaborativo nel rispetto delle prerogative di tutti i portatori d’interesse, legittimati da dati e informazioni realistiche sull’argomento. Ci saranno le organizzazioni sindacali che segnalano una moltitudine di contratti diversi per gli EP, problemi di sotto occupazione, differenti inquadramenti e pericoli per i lavoratori in occasione dei cambi d’appalto. Ci saranno le organizzazioni datoriali di lavoro, sempre alle prese con il delicato tema della sostenibilità economica delle loro imprese sociali. Ci sarà l’Università che rivendica la titolarità dei propri corsi e non riesce a costruire “percorsi professionalizzanti in interfacoltà” per via dei vincoli imposti dalle regole di accreditamento dei corsi di studio e di una programmazione universitaria, a volte poco centrata sulla reale spendibilità dei titoli rilasciati (a questo si aggiungono accessi programmati diversi, numeri d’immatricolazioni squilibrate, abilitazione all’esercizio professionale prevista solo per i corsi Snt2, diversa distribuzione dei CFU degli ordinamenti didattici, distribuzione a macchia di leopardo di sedi formative, offerta formativa inesistente in talune regioni, denominazioni dei corsi di formazione difformi tra loro, ecc.). Una riflessione va poi fatta sulle associazioni professionali che, al netto di discorsi surreali sul premierato disciplinare e sul rischio della “sanitarizzazione” del profilo, che agita spettri più che un vero dibattito, invia qualche segnale positivo dai diversi tavoli di confronto, dove si ritrovano persone dotate di buonsenso. Infine dovranno sedere al tavolo altri due convitati necessari: il referente della Conferenza unificata dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, il rappresentante dei Ministeri competenti (Salute, Lavoro e Welfare).

Nel dibattito e nel confronto attuale, difficilmente si sente parlare del diritto dei cittadini-utenti ad avere servizi e professionisti all’altezza dei loro bisogni e delle “skills” professionali richieste dal nostro lavoro. Riteniamo che questa sia questione centrale che dovrebbe orientare le scelte da operare. Un lavoro di cura e presa in carico come il nostro non può ignorare che il diritto del professionista deve coniugarsi con il diritto del cittadino, portatore di disagi e di potenziale di sviluppo, di incontrare nel Servizio cui si rivolge un operatore tecnicamente preparato oltre che umanamente sensibile. Il tavolo di lavoro, quindi, dovrà vedere il coinvolgimento anche delle organizzazioni che tutelano i cittadini – utenti.

Alla senatrice Vanna Iori va riconosciuto di essere riuscita a portare l’argomento “educatori professionali” in una vivacità di dibattito che mancava e che sarà un ponte per arrivare – lo diciamo con ottimismo – a una soluzione nella direzione dell’unificazione del profilo. Pur non avendo condiviso già dal 2016 (con alcune note di modifica al suo progetto di DdL) la scelta nel progetto di separazione e di frammentazione del profilo nelle componenti socio pedagogica e socio sanitaria, possiamo riconoscere lo sforzo di portare a qualifica quei lavoratori privi di titolo impegnati come educatori, attraverso dei corsi da 60 CFU nelle Università (ma attenzione, registriamo ad oggi che tale sforzo non sembra aver restituito dignità e riconoscimento specifico di questi colleghi nel mondo del lavoro).

Il titolo di studio, nel nostro lavoro, è importante: quando un educatore professionale si approccia alle persone gestendo la presa in carico e si confronta con bisogni complessi, con bisogni di salute (intesa alla “OMS maniera” cioè in senso aperto sui bisogni sociali e sanitari della popolazione), non sono sufficienti esperienze e buon senso, ci vogliono competenze, formazione continua e una costante revisione critica del proprio operato. Il tema delle sanatorie operate con attività legislativa in favore di persone prive di titolo e in nome della tutela del posto di lavoro, non ci appassiona e ci vede tendenzialmente contrari. Piuttosto ci interessa aprire un confronto serio con i lavoratori, le Regioni e i Comuni, le organizzazioni sindacali e quelle datoriali, con l’Università, perché si possa consentire a coloro che sono inquadrati come educatori di acquisire un titolo di studio, magari con sostegni alla riqualifica con voucher formativi o con incentivi di defiscalizzazione dei costi sostenuti. Siamo convinti che questi lavoratori, messi nelle opportune condizioni economiche, siano ben lieti di acquisire titoli di studio specifici. Concordiamo quindi con la senatrice Iori, quando afferma “mai più senza titolo” aggiungendo però “mai più sanatorie”.

Fin dai primi anni della sua costituzione (1992) ANEP ha più volte rappresentato i problemi degli educatori professionali italiani tentando di offrire soluzioni: qualcuno ricorderà la proposta “Battaglia e altri” C.2715 del 26 maggio 1993 “Norme per l’esercizio della professione di educatore professionale e istituzione del relativo albo”. In questi ventisette anni di attività non abbiamo mai smesso di fare proposte e di tentare la via della valorizzazione del nostro profilo professionale attraverso documenti, lettere, incontri, dichiarazioni. Per uscire dal “caos normativo” sulla figura è necessaria una Legge ad hoc sull’educatore professionale. L’ANEP ritiene che esista già ampio spazio di manovra nella normativa esistente e che questa non possa essere ignorata per costruire la figura unica:

  • il Decreto 520/98 (ex art. 6, comma 3 del DL 502/92);
  • Art. 3-octies del Decreto Legislativo 229/99 (Figure professionali operanti nell’Area Socio sanitaria);
  • Art. 5, della Legge 3/2018 (Istituzione dell’Area delle professioni sociosanitarie);
  • Articolo 12 della Legge 328/2000 (Figure professionali sociali).

L’Associazione Nazionale Educatori Professionali propone quattro punti per costruire l’unità nella figura:

1) Profilo professionale unico: definire le competenze fondamentali, gli ambiti di lavoro, funzioni, attività e compiti dell’EP;

2) Formazione universitaria unica: formare le competenze di base dell’EP; con quali collaborazioni si costruiscono un sistema interdipartimentale dei Corsi di Studio e il carattere professionalizzante della formazione;

3) Albo professionale, di Area socio-sanitaria, con accesso per entrambi i titoli di studio (SNT2 e L19 e titoli dichiarati equipollenti o equivalenti) per garantire ai cittadini e ai professionisti la certificazione delle competenze in ingresso nella professione e lo standard qualitativo del professionista nella sua carriera professionale;

4) Percorsi di riconoscimento dei titoli pregressi: ovvero atti normativi, formativi, abilitanti che portino alla certificazione delle competenze per le esperienze pregresse di attività professionale e allineino tutti i professionisti ad un livello omogeneo (ad esempio percorsi di riqualifica per esperti e altri per neofiti già operativi e in possesso di contratti attestanti l’esercizio professionale).

Siamo sollecitati a fare proposte dalle quali partire a fronte di un “contesto complesso e diversificato”: noi ci siamo, come ci siamo sempre stati per la professione.

Photo by Ryoji Iwata on Unsplash

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