Welfare
Educatori professionali: i nodi aperti, oltre la legge di bilancio
In legge di bilancio c'è l’equipollenza alla laurea abilitante dei titoli di Educatore professionale rilasciati dalle regioni fino al 2005 e la possibilità per gli educatori socio-pedagogici di continuare a lavorare nei servizi socio-sanitari. Ma risolta l’urgenza di messa in sicurezza dei posti di lavoro e dei servizi, restano altri nodi da affrontare. A partire dall'evidenza della centralità del lavoro educativo
In questa tumultuosa fine d’anno si sono giocate partite contrapposte, a colpi di emendamenti (alcuni dei quali presentati e poi ritirati) alla Legge di Bilancio ora approvata, sulla questione degli educatori professionali. Da una parte si è approdati ad un quadro più rassicurante, dall’altra vi è la necessità di risolvere nodi ancora aperti e rendere il quadro più armonico.
Si è ottenuta l’equipollenza (alla laurea abilitante) dei titoli di Educatore professionale rilasciati dalle regioni dopo il 1999 sino al 2005 (in Legge di Bilancio al comma 539, ndr). Resta però da risolvere il problema dei colleghi che si sono qualificati in identici corsi dopo quella data, molti dei quali in Regione Piemonte. Schiarita sul futuro degli educatori sociopedagogici laureati in Scienze della Educazione e dei pedagogisti: viene confermata la soluzione individuata con l'emendamento già approvato alla camera (in Legge di Bilancio al comma 517, ndr) che prevede la possibilità di lavorare in ambito sociosanitario e della salute limitatamente agli aspetti socio-educativi. Con questa formula si afferma l’utilità della presenza di educatori con formazione umanistica e pedagogica, per le proprie competenze, all'interno dei servizi a valenza sanitaria senza obbligo di iscrizione all'albo. Ed in pratica senza la relativa "definizione" di figura sanitaria. Si verrà dunque a creare una compresenza generativa con gli educatori professionali sociosanitari laureati in classe Snt/2, pur in assenza di una unificazione della figura professionale e nella permanenza di caratteristiche diverse. Qualche elemento di criticità è rappresentato dalla necessità per gli Educatori professionali sociosanitari di doversi iscrivere all’albo, cosa non richiesta ai laureati in scienze dell’educazione, e dalla rispettiva definizione degli ambiti di lavoro tra le due figure.
Diverse sigle di associazioni, la Siped, enti gestori raccolti intorno a Legacoop, il mondo delle facoltà di scienze dell'educazione ha difeso questo traguardo. Segnalando rischi occupazionali per svariate decine di migliaia di Educatori (stimando il numero attorno ai 150.000) e dissesti nella organizzazione dei servizi rivolti a oltre mezzo milione di utenti. Anep è su altre posizioni, parrebbe indirizzate a inserire tutti gli educatori professionali in un solo albo: che potenzialmente potrebbe avere maggiore peso e divenire in futuro un ordine autonomo (seppur collocato in ambito sanitario).
Quello che è certo è che – a prescindere da come la si pensi – si giocano due visioni diverse della Educazione professionale: una più vicina ad una sua collocazione anche concettuale sul versante riabilitativo e sanitario, l'altra più centrata su una visione epistemologica legata ad un proprium umanistico e pedagogico. Entrambe non possono prescindere però dalla materialità dei contesti educativi, che propongono realtà ed emergenze sempre più complesse. Che implicano saperi multidisciplinari, dinamici ed integrati difficili da ridurre a schematismi.
In questa temperie non esente da conflitti è emersa finalmente la centralità sociale del lavoro educativo. Risolta l’urgenza di messa in sicurezza dei posti di lavoro e dei servizi, sarà necessario riflettere su molti nodi ancora aperti: dalla formazione degli educatori (sia questa prima formazione, in vista di una armonizzazione che renda a tutti accessibile ogni settore del lavoro, sia anche formazione permanente, in vista di una sempre più precisa analisi contestuale e manutenzione dei processi e dei servizi); il pieno e giusto riconoscimento giuridico ed economico nei contratti; il diritto di mobilità intercompartimentale nel pubblico impiego; il riconoscimento di lavoro usurante ai fini pensionistici; la prevenzione e cura di malessere professionale e burnout.
Per affrontare tutti questi nodi non basterà la trincea di emendamenti contrapposti. Occorrerebbe creare una interlocuzione continua tra mondo politico, associazioni professionali, associazioni di utenti e delle loro famiglie, enti locali, università, sindacati, forze sociali, enti gestori. Occorre superare contrasti e rivalità, nell'ottica di una gestione maieutica dei conflitti e di una comunicazione positiva e non ostile. Mettendo al centro la capacità di narrarsi e di ascoltare dei soggetti in carne ed ossa. È fondamentale che i lavoratori del mondo della Educazione, proprio come avvenne per i Mille di garibaldina memoria, si battano per la unità dal basso della categoria. Al di là dei diversi punti di vista riguardanti albo-ordini e titoli di studio. Una unità che parta da analisi autoriflessive sull'agire educativo in questo contesto storico, per contribuire ad un più complessivo rinnovamento del welfare. L'esempio in questo senso del comitato spontaneo degli educatori professionali post 99 lombardo ha mostrato a tutti che ciò è possibile.
Foto Pexels
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