Stiamo spaventandoci per le sbronze degli adolescenti. Noi, quando si tratta di sparare numeri, statistiche, ricerche soprattutto “tragiche”, siamo i migliori al mondo. Ci stiamo accorgendo adesso che i nostri adolescenti ci sono scappati di mano?
Abbiamo fatto di tutto per non capirli, per non ascoltarli, li abbiamo relegati al terzo o quarto posto nei nostri interessi: prima il lavoro, poi la casa, poi i figli.
Gli adolescenti sono un mondo che va capito e interpretato. Il tempo non è mai stato lineare nella nostra vita, ma soprattutto non sono lineari alcuni tempi speciali, particolari. L’adolescenza è un tempo travolgente, che trasforma i nostri ragazzi, li cambia in pochi mesi, quasi radicalmente. È una nuova nascita, ma “senza genitori”.
I nostri adolescenti diventano orfani. O meglio, i genitori ci sono ma non sono più riconosciuti come i genitori di ieri. Non vogliamo accettare che le trasformazioni adolescenziali siano così misteriose, veloci, inspiegabili.
Non siamo preparati, non vogliamo prepararci. Abbiamo altro da fare e poi, secondo noi, siamo sempre stati genitori all’altezza dei tempi e dei problemi. Purtroppo ieri è stato lo spinello, il bullismo, il branco, la discoteca; oggi è l’alcool, il suicidio, l’incoscienza, il bisogno di sballo “totale”. Domani sarà altro. E noi balliamo dentro queste trasformazioni e ci gira la testa.
Per essere genitori, oggi, non è più sufficiente far studiare i figli, offrire loro una cameretta e una vita dignitosa. Educarli, ascoltarli, insistere sui valori, i doveri, la vita interiore, i limiti, i sacrifici, accompagnarli prima del salto verso l’adolescenza è necessario, anche se difficile e abbastanza nuovo come progetto.
Abbiamo pensato che il dopo sia la normale conseguenza del prima. Prima c’è il bambino, poi il ragazzino, poi l’adolescente, poi il giovane, più chiaro di così? Invece è un dopo che sfonda tutti gli ostacoli. Il bambino diventa puledro impazzito! E i puledri vanno montati e ti sbattono giù, rimontati fino a quando accettano le sollecitazioni.
Per cui il problema non è l’alcool ma il puledro. Non l’abbiamo addestrato, allenato, aiutato a vedere gli ostacoli, a preparare il salto, a cambiare il passo, a prendere la distanza giusta. E, qui, torno al ritornello antipatico, ma vero: come possono ragazzi di dodici anni essere soli giorno e notte, bere a canna whisky e porcherie ogni giorno più diverse e sempre più mortali? Dove siamo noi adulti, genitori, educatori? Come educhiamo i puledri? Con il telefonino e con gli sms?
Annunciare tragedie ci fa soffrire ma non cambia niente. Affrontiamo i nostri doveri con coscienza, responsabilità, impegno. Perdere gli adolescenti vuol dire perdere l’Italia di domani. E il verbo perdere non si ferma alla sbronza ma all’immaturità e alla incapacità di assumersi doveri. Affrontare la fatica di una vita vera, significa sudare insieme, guardare lontano, liberarci dei lacci e dei pesi inutili.
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