Non profit

Educa riapre il cantiere delle buone prassi

In vista delle assise di Rovereto di settembre

di Silvia de Vogli

Il rapporto fra le generazioni sarà il tema centrale intorno al quale gli organizzatori stanno raccogliendo i migliori spunti, con incontri in tutta Italia. Ivo Lizzola: «Una questione cruciale» L’appuntamento è dal 23 al 26 settembre a Rovereto, ma il cammino di Educa è già iniziato con una serie di appuntamenti in diverse città italiane per raccogliere proposte, riflessioni e buone prassi da parte di organizzazioni e agenzie educative, ma anche di singoli cittadini. Educa è «l’incontro nazionale sull’educazione», cioè su un tema in cui il non profit è chiamato a giocare una partita importantissima. Educa quest’anno avrà come parola chiave “Generazioni”. Come spiega Michele Odorizzi, presidente del comitato promotore. «Il rapporto tra generazioni», sottolinea Odorizzi, «è basilare nell’educazione perché rappresenta il ponte tra i futuri ed i passati di chi vive il presente». Tra i personaggi chiamati a guidare il cantiere di Educa 2010 c’è Ivo Lizzola, preside della facoltà di Scienze della formazione di Bergamo, che ha da poco pubblicato il libro Di generazione in generazione. Vita lo ha intervistato.
Vita: Perché è così importante tornare a parlare di generazioni?
Ivo Lizzola: Dopo l’ubriacatura intorno all’individuo protagonista assoluto del suo racconto di vita, che misura il suo successo sull’autonomia e sull’autosufficienza, oggi si è costretti a declinare nuovamente il proprio progetto come storia in relazione con altri. Questo cambiamento sembra rimandare ad un tempo in cui i ruoli erano più ristretti ed è spesso rappresentato come sacrificio. Io credo invece che ritornare all’interno del gioco delle generazioni e dei generi sia un nuovo accesso alla libertà personale e un’occasione per scoprire di sé cose che altrimenti resterebbero nascoste.
Vita: Questo cambiamento sta avvenendo in modo naturale?
Lizzola: In un certo senso sì; che lo vogliamo o meno sta già accadendo. Le generazioni vedono oggi i loro destini fortemente intrecciati, con i vincoli e le possibilità che queste relazioni permettono. Ad esempio, soltanto un grande gesto di responsabilità delle generazioni adulte anziane permetterà ai più giovani di vivere una certa esperienza del lavoro. Dall’altro solo un gesto di attenzione delle giovani generazioni verso gli anziani assicurerà loro assistenza e cura. Non basta però che le cose avvengano perché siano individuate come luoghi di nuova possibilità e libertà. Bisogna raccontarle per aumentare i livelli di consapevolezza.
Vita: Cosa significa educare in una prospettiva generazionale?
Lizzola: Direi che l’educazione è lasciare traccia di ciò che nasce. È una definizione che parla di futuro, ma anche di memoria. Si tratta di costruire insieme la traccia di ciò che sta nascendo a partire da tempi così diversi come sono quelli dell'”educatore” e dell'”educando”. E in questo c’è anche il tempo presente inteso come momento inedito e sorgivo; un “presente” che diventa profondità e gioia dell'”essere presente” con gli occhi un po’ meravigliati; un presente che dà speranza e permette di reggere l’augurio per i propri figli.
Vita: E come si fa?
Lizzola: C’è bisogno che la vita sia raccontata. I racconti ricomprendono quello che già c’è, ma ancora non significa; danno una direzione di senso e fanno scoprire lì dentro un impegno. A volte, come nel caso delle migrazioni, si tratta di racconti spezzati, storie di abbandoni e di esilii. Ma attraverso la parola è possibile dare un significato anche alle lacerazioni.
Vita: Quali sono oggi i modi della contestazione giovanile?
Lizzola: Credo che i ragazzi facciano fatica a prendersi spazio, un po’ perché sono deboli i testi da contestare, un po’ perché hanno scarsa fiducia che se ne possano costruire di nuovi. Del resto, se la chiave di tutto è il successo, non c’è più il senso di un tempo che possa essere spezzato e riaperto. Ci si rifugia quindi dentro un presente che non ha le connotazioni della nascita. È un presente soffocante e densissimo, che è poi il nulla della mercificazione. Nonostante questo, ci sono moltissime micro storie locali di contestazioni: ragazzi che si ritrovano in redazioni di giornalini scolastici o a parlare di commercio equo e solidale, del risparmio dell’acqua e dell’energia, o magari vivono esperienze di vicinanza alla disabilità e alle fragilità.
Vita: Qual è la responsabilità della politica sulla questione generazionale?
Lizzola: È grandissima. Oggi la politica rischia di vivere e di essere vissuta come lontana dalle dinamiche in cui le persone cercano il significato e costruiscono il senso della loro vita. Questo ci dovrebbe preoccupare: non basta infatti che il rapporto tra generazioni abiti gli spazi familiari e sociali, deve anche trovare ospitalità nel pensiero e nel linguaggio politico. Se la politica non sta attenta, quindi, finirà per essere abbandonata. Basti pensare all’altissima percentuale di astensioni nelle ultime elezioni che rappresenta la vera risposta nuova.

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