Mondo
Edolo, l’hub bresciano per i rifugiati afghani: un modello da seguire
Si sta delineando sempre più un modello di accoglienza diffusa capace di dialogare con i territori. L'esperienza di queste settimane nel comune bresciano, infatti, ha mostrato che la risposta giusta non è creare grandi centri, ma coinvolgere la rete dei piccoli comuni in un sistema integrato. Anche per superare il problema degli ex Sprar, che oggi sono al limite della capienza
di Marco Dotti
Sono arrivati nella notte di ieri. Cento rifugiati afghani, tra cui molti bambini, accolti in quello che a tutti gli effetti è diventato uno degli snodi cruciali della rete dell'accoglienza: la base logistica militare di Edolo, in Valle Camonica, nel bresciano.
Accoglienza e territorio
Una rete, quella dell'accoglienza, che giorno dopo giorno inizia ad assumere una propria fisionomia. La base bresciana è un vero e proprio hub: nella sua struttura, i rifugiati vengono visitati e sottoposti a quarantena in base alle normative anti-Covid. Finita la quarantena, vengono trasferiti in altre sttutture dell'esercito in attesa che si attivi – se non interverranno fattori esterni a modificare lo scanario – una rete di accoglienza diffusa.
È successo così anche a Edolo: i cento rifugiati arrivati ieri notte sostituiscono gli altri cento (104, per la precisione) arrivati il 21 agosto e che, dopo la quarantena sono stati condotti, su mezzi dell'esercito, in una struttura di Bologna. L'unico contatto "esterno" che i rifugiati avranno in questi giorni sarà con il personale della Croce Rossa. Ma la cittadinanza ha fatto sentire la propria vicinanza raccogliendo abiti e giocattoli da mandare a donne e bambini.
Il sindaco della cittadina camuna, Luca Masneri, si è speso molto con l'amministrazione comunale e la rete della società civile che raccolto beni di prima necessità per i rifugiati. Non ci sono state proteste, né dissapori. La situazione è stata chiara fin dall'inizio: si accoglie, si aiuta, ma ci si rapporta col territorio. Nessuna decisione "calata" da chissà dove.
«Abbiamo rodato il modello – ha spiegato il sindaco – e sappiamo che rimarranno da noi almeno per la prossima settimana. Potrebbe non essere l’ultimo gruppo che arriva. La loro sarà presumibilmente una permanenza breve, perché saranno poi trasferiti in altre strutture».
Molte, dunque, le donazioni raccolte nelle scorse settimane. In particolare, una sottoscrizione aperta dal Rotary club Lovere Iseo Breno in collaborazione con il Comune, ha permesso di garantire un potenziamento della rete wi-fi, per permettere ai rifugiati di restare in contatto con i propri famigliari rimasti in Afghanistan o destinati altrove. La comunicazione, in questo momento, è pari a un bene primario per chi fugge da luoghi di guerra.
Verso l'ospitalità diffusa
Resta aperta, invece, la questione dell'ospitalità diffusa. Quante persone resteranno nel bresciano? I piccoli comuni, in questa come in altre parti del Paese, si sono mossi per primi e hanno già dato ampia disponibilità ad accogliere i rifugiati, nonostante i 411 posti Sprar della provincia siano tutti pieni. Ora bisognerà coinvolgere le reti della società civile, del mondo cooperativo e, appunto, dei piccoli comuni.
Sarà importante, visto che dovranno essere stipulati dei bandi che, come ha ricordato l'assessore ai servizi sociali del Comune di Brescia Marco Fenaroli, questi bandi siano fatti a regola d'arte, per poter offrire «un servizio di accoglienza e integrazione che sia di qualità» e coinvolgano il mondo del Terzo settore che, in questi anni, ha maturato una grande esperienza nell'accoglienza.
Coinvolgere la società civile
Una prima indicazione arriverà martedì a Brescia, nel corso della riunione del Coordinamento Sai (il sistema di accoglienza e integrazione gestito dal Ministero degli Interni; in sostanza: gli ex Sprar). La Prefettura bresciana comunicherà probabilmente quanti rifugiati (che, ricordiamo, sono stati collaboratori o famigliari di collaboratori della missione occidentale) potranno essere ospitati nel bresciano sotto la sua tutela.
In tutto il Paese, comunque, si cercano cinquemila alloggi. Coinvolgere i piccoli comuni sarà determinate, anche se i posti del sistema SAI sono quasi interamente occupati. Per questo si sta pensando, da un lato, al coinvolgimento di quante più realtà associative locali possibile, dall'altro a un provvedimento ad hoc (un decreto) che, visto lo stato d'emergenza, garantisca una copertura finanziaria e la possibilità di ampliare la rete di accoglienza.
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