Scenari

Economia sociale, un orizzonte di cambiamento

L'Action Plan della Commissione europea è nato all’interno della strategia industriale, come uno dei 14 ecosistemi dello sviluppo ed innovazione, l’economia sociale ha però ancora bisogno di essere definita, prima che programmata. Il rischio, altrimenti, sarà quello di sviluppare piani di settore poco efficaci e poco responsivi con le sfide sociali, economiche ed ambientali che stiamo vivendo, nonché poco utili agli stessi attori che vi operano

di Francesca Battistoni e Nico Cattapan

Il Social Economy Action Plan del 2021, lanciato dalla Commissione europea, si sta avviando verso la costruzione di politiche locali dedicate e centri di competenze. La Città metropolitana di Bologna ha avviato un processo per costruire un Piano di economia sociale locale (giunto quasi al termine), così come anche altre città quali Torino e Reggio Emilia. Un’attenzione particolare al settore è anche nelle intenzioni della neoeletta giunta regionale dell’Emilia Romagna. Ma anche a livello nazionale, il Centro di competenza per l’innovazione sociale si è dato come compito di promuovere l’economia sociale.

Nata nella strategia europea

L’innovazione sociale non è certo cosa nuova nelle politiche europee, nazionali e regionali. Tuttavia ci dobbiamo chiedere cosa rappresenti questo nuovo oggetto, l’”economia sociale”, che non ne è una semplice replica con altro nome. Da supporto ai sistemi attuali, per attenzionare nuovi bisogni, infatti, l’economia sociale non indica solo un bisogno di innovazione, ma si fa tema di politiche strutturate rispetto ad un modo di pensare un certo sviluppo. Nata all’interno della strategia industriale europea, come uno dei 14 ecosistemi dello sviluppo ed innovazione, l’economia sociale ha però ancora bisogno di essere definita, prima che programmata.  Il rischio, altrimenti, sarà quello di sviluppare piani di settore poco efficaci e poco responsivi con le sfide sociali, economiche ed ambientali che stiamo vivendo, nonché poco utili agli stessi attori che vi operano. 

Economia sociale, uno scenario o tanti attori?

Dunque: categoria di attori, settore economico, o indirizzo di sviluppo? A partire dalle diverse definizioni che ne danno policy maker, ricercatori e attivisti vediamo quali risultano opportune, e quindi quali approcci possono distinguere i prossimi piani di economia sociale.

Il primo significato diffuso nasce dal fraintendimento di identificare economia sociale con terzo settore, come attore collettivo che risponde ai “bisogni sociali” rimasti indietro. Un senso ristrettissimo che è anche poco utile a differenziare il portato di economia sociale dall’innovazione sociale degli ultimi vent’anni. È comunque lo stesso Action Plan ad allargare il perimetro dell’economia a cinque attori diretti: cooperazione (non solo sociale), società di mutuo soccorso, fondazioni, imprese sociali e associazioni. 

Il secondo significato che si discute è che economia sociale sia allora da identificarsi con l’attività di  queste organizzazioni, diverse tra loro per altro. Questa interpretazione tende a privilegiare una lettura di categoria: producono economia sociale le organizzazioni che hanno come scopo la mancanza di profitto e il reinvestimento degli utili. Ma limitare l’economia sociale allo scopo organizzativo, significa anche settorializzarla e continuare a vederla come parte che aggiusta i fallimenti di mercato (o dello Stato), ruolo da cui per altro quegli stessi attori intendono affrancarsi. 

Economie non estrattive di valore

Un terzo significato parte invece da una indicazione di finalità. Economia sociale è quell’insieme di attività economiche che perseguono l’interesse generale, in diversi ambiti quali le costruzioni, la salute, l’educazione, il turismo, l’agricoltura, il lavoro, etc. Qui, in sostanza, l’economia sociale coincide con la capacità di creare economie non estrattive di valore, indirizzate al benessere della società, all’equità e al rispetto della sostenibilità e delle risorse naturali. Se vogliamo tradurre questa finalità in un framework operazionale per i futuri piani di economia sociale, vanno allora rivisti alcuni approcci. Proviamo a indicarli: 1) Organizzazioni dell’economia sociale sono anche altri operatori che agiscono per impatto, anche prevedendo il profitto; 2) la creazione di valore economico ad indirizzo sociale non ragiona per settori, ma per ambiti di sviluppo come l’abitare e il turismo sostenibile, l’agricoltura e la sostenibilità, la transizione energetica, etc. 3) per incidere sull’interesse generale, si deve allargare il cerchio di attori coinvolti e stabilire un nuovo raccordo tra le organizzazioni dirette dell’economia sociale (quelle sopra descritte), altri attori del “mainstream business” (imprese for profit, associazioni di categoria) ed enti pubblici (che attivano economie grazie all’attività di procurement). 

Non solo un settore produttivo

Così vista, l’economia sociale non coincide con un settore produttivo, né con una categoria di attori, ma si appresta ad essere un nuovo modo di pensare ad un’economia incorporata nella società, capace di non essere estrattiva e di affrontare le due principali contraddizioni che l’attuale forma neoliberista del sistema capitalistico non riesce più a contenere: le crescenti disuguaglianze e il consumo insostenibile di risorse naturali, con le relative conseguenze di polarizzazione sociale che viviamo. Con una logica che non esclude necessariamente il profitto, ma lo reinquadra in un’ottica di scopo diverso.

Se questo è un framework adeguato per leggere il portato dell’economia sociale come descritta nell’Action Plan e nella documentazione relativa, allora l’approccio dei piani non dovrà solo limitarsi al sistema di incentivi di settore, premialità o promuovere vaghe forme di collaborazione e innovazione aperta, già sperimentate in passato con scarsi esiti. L’ambizione di una vera politica pubblica per l’economia sociale lavora, deve lavorare, su scopo e deve indirizzarsi alla trasformazione dei sistemi sociali, economici e tecnici che oggi non reggo più alla prova dei fatti. L’abitare, la mobilità, le forme di turismo, il lavoro, l’agricoltura e la cura territorio, la salute etc sono sistemi da ripensare attraverso un approccio quale quello delle mission-oriented policy, capace di attivare, su grandi direzioni di cambiamento equo e sostenibile, settori diversi per reindirizzare i propri obiettivi di sviluppo. Possiamo scegliere, in sostanza, se vogliamo fare bene i compiti o se vogliamo utilizzare l’economia sociale come orizzonte di cambiamento. Il sospetto è che, limitando le ambizioni, perdiamo occasioni anche per le stesse organizzazioni che già producono alcune economie sociali e che potrebbero guidare le transizioni attuali verso un nuovo modello di sviluppo.

La foto in apertura è di Steve Johnson su Unsplash

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