Come ti trasformo il parco in una piccola impresa, ovviamente sociale. L’esperienza del Parco nazionale delle Cinque Terre è davvero unica. Innanzitutto perché si tratta di un parco sui generis, nato per tutelare sì una porzione di natura di rara bellezza e importanza, tra mare e terra. Ma anche per salvaguardare un paesaggio fortemente antropizzato: qui l’uomo in più di mille anni ha “modificato” l’ambiente naturale sezionando gli scoscesi pendii delle colline per ricavarne strisce di terra coltivabili, sorrette da circa settemila chilometri di muretti a secco. «Avevamo un obiettivo ambizioso», racconta il presidente dell’ente, Franco Bonanini, «recuperare il territorio che è stato abbandonnato, in 40 anni di deruralizzazione». Il meccanismo era semplice, incentivare il ritorno all’agricoltura (viticoltura, per la maggior parte) dei giovani, fornendo attrezzature in comodato d’uso gratuito: «Oggi possiamo dire con orgoglio che grazie al Parco ci sono 25 piccoli coltivatori che hanno avviato un’attività che è economicamente produttiva».
L'”impresa parco” investe sul territorio grazie a una relativa autonomia finanziaria, derivante principalmente dal ticket di ingresso pagato dai migliaia di turisti che percorrono i sentieri delle Cinque Terre. Ma non è la sola entrata extra finanziamenti pubblici dell’ente. Il Parco produce e vende in proprio una serie di prodotti tipici, come i vini e una linea di prodotti di biocosmesi naturale ottenuti dalla erbe aromatiche del territorio. E gestisce tre ristoranti, con prodotti rigorosamente a chilometri zero. L’indotto, poi, è sotto gli occhi di tutti quelli che visitano questo angolo di Liguria. Una rete capillare di affittacamere, ristoranti, negozi, tutti gestiti da abitanti della zona. E una solida realtà di cooperative che gravita attorno al Parco: «Circa duecento ragazzi, su vari fronti: la gestione dei sentieri, quella dei centri di accoglienza, il recupero dei terreni, la pesca delle acciughe: possiamo dire di aver azzerato la disoccupazione da queste parti».(S.R.)
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