Mondo

Economia, l’Africa mostra gli artigli

Africa/ Il continente ormai è la terza area al mondo per tassi di crescita

di Christian Benna

È un?Africa senza speranza quella che scorre (sempre più raramente) sul piccolo schermo dei telegiornali. Guerre, carestie e sottosviluppo. Gli aiuti umanitari – quando arrivano ( sempre pochi e mai abbastanza) – finiscono spesso nelle mani sbagliate. E il business è tutto lì: la spartizione feroce di un tesoro antico per alimentare modernità e benessere nel nord del mondo. In catalogo una lista infinita di preziosi: materie prime estratte dal cuore del continente: oro, diamanti, petrolio. Un tempo funzionava così. Oggi è tutta un?altra storia. Lo dicono i rapporti sullo stato dell?economia, il Pil è in aumento del 6,7% (la terza regione al mondo per crescita), ma soprattutto lo dimostra il mutato atteggiamento delle multinazionali.

Le ?tigri? nere
Dopo l?assalto cinese (l?interscambio tra Pechino e il continente nero ammonta a 55 miliardi di dollari), anche i big del ricco occidente guardano l?Africa con rinnovato interesse. Nel 2006 gli investimenti esteri sono aumentati del 26% rispetto all?anno precedente. A scommettere sul nuovo – e vastissimo – mercato emergente ci sono tutti o quasi i protagonisti dell?alta finanza. Carlyle, il colosso del private equity mondiale, ha annunciato un piano di espansione in Medio Oriente e Africa del Nord, incominciato già al Cairo con l?apertura di una sede. Gli americani di Citigroup, prima banca del pianeta per capitalizzazione e sportelli, ha appena lanciato un fondo di venture capital, con una dotazione di 60 milioni di euro, che investirà in aziende innovative.

Più che di crescita si può parlare di galoppata. La World Bank sostiene che lo stato attuale dell?economia africana sia il migliore degli ultimi venticinque anni. Nel 2005 il Pil del continente viaggiava col vento in poppa, a + 5,4%. L?anno seguente la corsa non ha frenato. Anzi ha superato il 6% e nel 2006 si è avvicinata a quota 7% (solo Sudafrica e Nigeria si sono attestate alle vette del 7,8%). Tre round da brivido che gli analisti di Ubs, in un recente report hanno ribattezzato ?Rinascita africana?. Certo lo sviluppo è sostenuto dall?impennata del prezzo delle commodity (dal 1999 il rame è schizzato all?insù del 300%, il platino del 200%, il petrolio del 150%, l?oro del 125%, il cacao del 100%). Ma non solo. Accanto al boom delle materie prime si sta sviluppando un?industria locale e autonoma che prova a competere con lo strapotere delle multinazionali.

Secondo l?Oecd, se il continente riuscirà a mantenere questi tassi di crescita sarà in grado di fare passi da gigante e centrare – da solo – uno degli ?Obiettivi del millennio?: ridurre del 50%, entro il 2015, il numero di abitanti che vivono in uno stato di povertà estrema.

La cassaforte panafricana
In Africa c?è anche un altro tesoro da mille e una notte che vale circa 672 miliardi di dollari. È il bottino dei risparmiatori custodito dai primi 200 gruppi bancari africani, una potenza di rango del credito internazionale. Tanto che, accatastando uno sull?altro tutti i depositi del continente, potrebbe nascere il 23esimo istituto al mondo per capitalizzazione. Niente male per la Ceneretola del pianeta. Ma c?è di più. Perché il comparto non cresce solo per solidità di patrimonio (+17% rispetto al 2005), ma anche per dinamismo, capacità di stringere alleanze e convincere perfino gli investitori più scettici. L?ultima notizia arriva dalla Nigeria. Il fanalino di coda di tutte le classifiche sulla trasparenza, e sempre in cima in quelle sulla corruzione, è riuscita a sedurre le piazze finanziarie dei ?paesi ricchi? con la quotazione di una sua banca alla Borsa londinese.

Lo storico collocamento ai piani alti dello Stock Exchange porta la firma del Guaranty Trust Bank di Lagos, 42 esima banca africana, che in poche ore dall?Ipo ha raccolto oltre 350 milioni di dollari. Per la Nigeria, si tratta di una svolta – vera e propria pietra miliare del cambiamento – frutto della compagna di modernizzazione lanciata nel 2004. Liberalizzazione dei servizi finanziari e un giro di vite sul capitale minimo per operare (ora 192 milioni di dollari): questa la ricetta messa in campo dalla Banca centrale contro il proliferare di una miriade di sportelli, per lo più destinati al fallimento. Nel giro di tre anni, infatti, lo scenario nigeriano è mutato come dal giorno alla notte: delle 85 insegne esistenti, infatti, solo 25 sono sopravvissute. Il consolidamento ha messo il turbo a tutta l?industria del credito, ora divenuto, per dimensioni, il secondo mercato africano.


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