Mondo

Economia informale, economia felice

Geetha Narayanan lavora a Bangalore, capitale della fuga di cervelli indiana. Ma è in atto un ritorno. "In nome della nostra vera ricchezza: le relazioni sociali".

di Riccardo Bagnato

di Riccardo Bagnato, da Linz Oltre un miliardo di abitanti, candidata a un seggio permanente nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sede del quarto Forum sociale mondiale e patria del microcredito grazie all?esperienza della famosa Grameen Bank: anche solo per questo, l?India è da considerarsi un vero e proprio laboratorio per il futuro. Un ?Paese sorpresa? come il Brasile o la Cina, portatore però di un?economia diversa. Diversa dal capitalismo inarrestabile di Pechino o da quello disordinato di Lula. Un?economia, quella indiana, «informale», così la definisce Geetha Narayanan, ospite alla rassegna Ars Electronica, «cioè fatta di relazioni sociali e di consapevolezza dei propri limiti e dei limiti ambientali». In altri termini, un?economia capace di offrire il necessario per vivere oltre a qualcosa che non si può comprare facilmente: la felicità. Direttrice e fondatrice della Srishti School of Art, Design and Technology di Bangalore (Srishti), in India, Geetha Narayanan si occupa di educazione per minori abbandonati nelle periferie e non solo. Attraverso le nuove tecnologie e la collaborazione di molti artisti, Narayanan sta infatti reinventando e sostenendo una nuova economia. Vita: Come le è venuto in mente di impegnarsi in questo senso? Geetha Narayanan: Io vengo da una città, Bangalore, dove le nuove tecnologie rappresentano un importante settore. Dopo 22 anni di attività mi sono resa conto che senza riflettere a sufficienza abbiamo sempre importato modalità e progetti che venivano elaborati nelle università degli Stati Uniti o del Regno Unito. Oggi non credo sia più così importante, e per un motivo ben preciso. Credo che l?Europa e gli Stati Uniti diventeranno sempre più instabili socialmente. Che ci sarà l?esigenza di modificare l?assetto sociale che oggi caratterizza queste aree. E allora l?India, con la sua economia informale, altrimenti chiamata ?capitalismo indipendente?, potrà giocare un ruolo determinante. Credo che in futuro non saremo più noi a dover imparare dalle università americane o inglesi, ma l?Europa e gli Stati Uniti a imparare da noi. Vita: Un esempio concreto? Narayanan: Un piccolo negozio di thè in un quartiere della mia città. Si tratta di un chiosco, qualcosa che si può costruire facilmente e che non costa molto in termini di gestione. Col tempo, malgrado la precarietà, quel luogo è diventato un punto di aggregazione fondamentale, nato spontaneamente. Oggi la persona che lo gestisce guadagna a sufficienza per vivere; non riceve soldi dalle banche o dal governo, ma quel che più conta, se non desse un servizio qualitativamente valido e non fosse nel posto giusto, in un luogo ?vivo?, non riuscirebbe a guadagnare niente. Questo è un esempio per dire che non c?è bisogno di grandi architetture o grandi investimenti. Che l?economia nel futuro dovrà fare i conti con i propri limiti e dovrà quindi scoprire quanto poco basta, in realtà, per aprire e gestire un?attività redditizia. Vita: Molti indiani però vanno negli Stati Uniti a studiare o lavorare. Perché? Narayanan: In India ci sono molti studenti e pochi college, e per questo motivo, realisticamente, la fuga di cervelli continuerà. Ma non credo che ci si debba preoccupare. Torneranno. Ci sono diversi modi di considerare la cosiddetta ?fuga dei cervelli? dall?India. Molti miei colleghi e amici sono partiti, alcuni hanno avuto successo, ma non sono contenti. In un breve lasso di tempo hanno guadagnato molti soldi, ottenuto garanzie sociali, prestigio, ma oggi la maggior parte di loro è rimasta senza niente. Non ha certezze. Anch?io non ho certezze, ma a differenza di loro, in questi anni ho lavorato sulla realtà, ho costruito relazioni e vissuto nel mio quartiere, e so che per questi motivi lavorerò fino agli ultimi giorni della mia vita, senza preoccuparmi di perdere potere o lavoro. Vita: è venuta in Europa per il festival di Linz. Che bilancio ne ha tratto? Narayanan: Mi è piaciuto poter visitare diversi luoghi, dove di volta in volta sono state organizzate installazioni o conferenze, senza dover rimanere chiusa in un unico edificio, potendo scegliere, inoltre, quello che più mi interessava all?interno di un programma aperto 24 ore al giorno. Quello che mi ha sorpreso, però, è non aver visto molte persone di colore, né durante le sessioni del festival, né per le strade della città. Mi sono sentita a tratti un po? alienata per questo motivo. Ma dev?essere perché Ars Electronica è un Festival europeo, non ancora internazionale.


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