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Economia: è cambiata solo in Europa. Il capolinea America

La legge sul falso in Bilancio? Figlia di Enron più che dell’11 settembre.

di Francesco Maggio

Ha ragione il professor Gallino quando afferma (vedi intervista alla pagina seguente) che l?11 settembre non rappresenta, di per sé, una data spartiacque per l?economia americana.
Prendiamo la bolla speculativa di Internet. Ha iniziato a sgonfiarsi già dall?estate 2000. Dal luglio di due anni fa al luglio scorso, le prime 5 Borse mondiali (Milano, New York, Londra, Francoforte e Parigi), trascinate dal crollo dei titoli tecnologici, hanno perso complessivamente 5.500 miliardi di dollari. Solo il Nasdaq ne ha lasciati sul tappeto oltre 3mila. Ma circa la metà si sono volatilizzati prima dell?attentato alle Twin Towers. Oppure, guardiamo ai principali scandali finanziari che hanno investito Wall Street: Enron (1,2 miliardi di dollari di irregolarità contabili scoperte); Worldcom (3,8); Xerox (2); Merck (12,4).
Il marcio ha cominciato a venire a galla dal novembre 2001, ma le manipolazioni più o meno fraudolente dei bilanci risalgono agli esercizi precedenti. E, comunque, il grido d?allarme sull?ingordigia del capitalismo americano, sempre più schiacciato sulle esigenze della finanza, era stato autorevolmente lanciato già nella primavera 2000, per esempio da Robert J. Shiller, economista della Yale University, con il suo saggio Euforia irrazionale (Il Mulino).
E ancora, che dire del panico che ha attanagliato i risparmiatori americani nei giorni successivi al varo, da parte dell?amministrazione e del Congresso, di nuove e più severe norme sulla corporate governance (con il rischio, per i manager giudicati colpevoli, di passare in galera anche 25 anni)? In due settimane hanno ritirato dai fondi di investimento 33 miliardi di dollari, una cifra quasi doppia di quella che defluì dalle casse dei fondi comuni dopo l?11 settembre. Come a dire che ha spaventato gli investitori più l?eventualità che finissero in manette i gestori dei loro soldi che non quella di un ulteriore attacco terroristico.

Quando i conti tornavano
L?anno appena trascorso, insomma, non ha prodotto cambiamenti particolarmente ?rivoluzionari? nell?economia statunitense. Ha sì visto l?introduzione di regole più stringenti in fatto di reati societari. Ma ciò era diventato ormai inevitabile, come opportunamente ha ricordato l?ex commissario Consob, Marco Onado: «Solo negli Stati Uniti, dove la correttezza contabile è affidata quasi esclusivamente ai revisori, un manager di un?impresa fallita come Enron poteva affermare, davanti a una commissione d?inchiesta parlamentare, che egli non poteva certo occuparsi di squallidi dettagli contabili mentre era impegna to a disegnare piani strategici sempre più audaci e complessi».
Ha sì svegliato dal torpore i fondi pensione, ma questi detengono ben il 35% dei titoli azionari emessi negli Usa e come sottolinea Sergio Romano , «anziché chiedere rigore, esigevano che le imprese avessero ogni trimestre conti in attivo. E non è escluso che questa pretesa abbia ulteriormente spinto i manager a manipolare i bilanci». Era quindi nell?ordine delle cose che si dessero una regolata. Ma questioni cruciali come quella delle scandalose stock options e dei bonus accordati, a vario titolo, ai top manager non sono state per nulla affrontate. Al punto che, appena un mese fa, Jack Grubman, re degli analisti della banca d?affari Salomon Smith Barney, dimessosi dall?incarico perché travolto dagli scandali Worldcom e Global Crossing, ha comunque potuto incassare una superliquidazione di 32 milioni di dollari.

La risposta europea
No, per provare a rispondere affermativamente alla domanda se l?11 settembre abbia inciso in profondità sugli scenari economici, messo non solo in discussione vecchi modelli ma, nel contempo, proposti di nuovi, bisogna guardare al di qua dell?Oceano, all?Europa. Sebbene i vari ?casi Vivendi? abbiano portato alla luce malversazioni insospettabili.
Se da un anno il capitalismo americano scricchiola pericolosamente senza aver ancora trovato il modo di riparare le sue crepe (o, perlomeno, di mitigare la sua arroganza) l?Europa lancia un messaggio di fiducia che pone al centro dell?economia l?uomo, i diritti, la sostenibilità dello sviluppo. Facendosi paladina della ratifica del protocollo di Kyoto; comminando, con il significativo avallo della Wto, sanzioni per 4 miliardi di dollari agli Usa come ritorsione al taglio fiscale operato da Bush a favore di grandi industrie quali Boeing, General Electric, Disney; lavorando a una Convenzione che ha nella solidarietà e nel diritto uno dei suoi pilastri «dimostrando», come ha scritto in un suo ormai celebre saggio, apparso su Policy Review, Robert Kagan, tra i massimi esperti internazionali di geopolitica, «che è possibile che le regole del diritto prendano il sopravvento sul confronto tra le potenze e creare un metodo per la pace».

La cometa cinica
Fernand Braudel sosteneva che «il capitalismo è una cometa cinica, calcolatrice, pronta ad abbandonare cieli a lungo prediletti per raggiungerne altri, remoti, impensati e più propizi». Oggi, questa cometa considerata dall?ortodossia economica, per definizione di matrice anglosassone, si sta spostando. Non parla più solo inglese. Ed è molto meno cinica e calcolatrice di quella che descriveva il grande storico francese dell?economia. Anche ?grazie? all?11 settembre.

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