Economia
Economia del bene comune. Intervista con Christian Felber
Secondo l'austriaco Christian Felber, promotore del movimento della Gemeinwohl-Ökonomie o economia del bene comune, nella concorrenza il motore che anima l'azione è la paura - di perdere, di fallire, di non riuscire nell'impresa. Al contrario, nella cooperazione ciò che muove l'azione verso lo scopo è un diverso orientamento - anche della competizione - secondo un sistema win-win: si perde o si vince tutti assieme, per questo occorre dare il meglio
di Marco Dotti
Serve uno scopo che garantisca equilibrio tra mezzi e fini, per fare davvero qualcosa. Se dovessimo costruire una casa, osservava già Aristotele, dovremmo essere mossi dall'intenzione di farla e solo successivamente provvedere alla raccolta di materiali e risorse, elaborando un progetto. La logica finanziaria ha rovesciato questa gerarchia tra mezzi e fini, insistendo su “progetti” mossi da nessuno scopo e su vie d'uscita dalla crisi che comportano solo sacrifici inutili e modelli senza futuro. Al contrario, rimarca Christian Felber nel suo libro-manifesto, L'economia del bene, che in Germania e Austria ha suscitato molta attenzione, esiste un «modello che ha futuro».
È la “Gemeinwohl-Ökonomie”, l'economia del bene comune. Economista, attivista, comunicatore di grande fascino, Felber ha dato ampio corso al suo progetto, fondando una banca alternativa e una rete che ha raccolto molte adesioni da parte di imprese, associazioni, persone convinte – così si esprime Felber – che «l’economia del bene comune non è assolutamente un traguardo astratto, ma un processo partecipativo che può generare altre forme del fare». Lo abbiamo incontrato per porgli alcune domande.
Troppo grandi per fallire, troppo piccoli per riuscire
Competizione o cooperazione? Che sia proprio la cooperazione la chiave per uscire da una crisi di sistema che tecnici e professori prestati alla politica non sembrano in grado di affrontare, proprio perché si servono di strumenti assolutamente astratti rispetto al piano della realtà e si muovono secondo cordinate logiche che in nulla, se non a parole, contraddicono le matrici della crisi?
Christian Felber: L'economia di mercato classica si basa su un mito che non ha evidenze scientifiche: la competizione. La competizione sarebbe necessaria, si afferma, per l'innovazione e la realizzazione dei propri obiettivi. Al contrario, la ricerca empirica rivela che la cooperazione è la strategia più efficace per motivare gli esseri umani e per raggiungere uno scopo. La cooperazione è definita come un gioco “win-win”, ossia un gioco in cui non ci sono perdenti, ma si vince o si perde tutti assieme. Mentre la competizione è basata su uno schema elementare di “vincitori” e “vinti”: se io perdo, tu vinci, e vicevesa Nella concorrenza, il fattore che più motiva è la paura. Nella cooperazione è il condividere. Se abbiamo la prova pratica che la cooperazione è più efficiente della competizione, perché dovremmo continuare a basare il nostro sistema economico sulla seconda, anziché sulla prima? Dobbiamo partire da questa evidenza, o non ne usciremo mai.
La proposta pratica che ho chiamato Economia del Bene comune è la seguente: tutte le persone possono entrare e uscire dal mercato allo stesso modo. Si tratta di una economia più libera di quella che abbiamo oggi, dove criteri di entrate e uscita sono dettati da cartelli di oligopolisti che, mentre si dilungano in professioni di fede nella concorrenza, altro non fanno che proteggersi dalla concorrenza stessa. Le banche e le società che sono "troppo grandi per fallire" – too big to fail, secondo uno slogan quanto mai attuale – non possono lasciare il mercato e così continuano a controllarlo… Tutto ciò deve finire. L'Economia del Bene comune mira a sancire questa fine. Coloro che entreranno nel mercato, troveranno un quadro di incentivi ben diverso dall'attuale che premia in ragione della “competitività”, ossia della capacità di sostenere atteggiamenti aggressivi e belligeranti. Al contrario, la cooperazione e la collaborazione saranno premiate nell'economia che dobbiamo impegnarci a favorire. Saranno premiate le azioni volte non solo al bene proprio, ma anche a quello altrui e alla complessiva “manutenzione” del sistema: come in un gioco “win-win”, appunto.
Questo, però, non significa fine del mercato… Troppo spesso si sovrappone il concetto di mercato, che ha una storia millenaria – come tra gli altri dimostrò, anni fa, l'antropologo Marshal Sahlins, in un suo celebre libro sull'economia dell'età della pietra – e una deriva che più che liberista potremmo chiamare liberticida, rispetto alla libertà d'impresa, tipica di questo ultimo trentennio….
Christian Felber: Andiamo ancora più in là e affermiamo senza paura che la parola concorrenza, se osservata da vicino, rivela qualcosa di sbalorditivo. La sua etimologià è bellissima: viene dal latino "com" e "petere", che significa “cercare insieme” una soluzione. Quello che osserviamo oggi nel mercato è una perversione di questo senso originale, una sorta ti “anti-petizione”: aziende una contro l'altra. E uno contro l'altro, alla lunga, si muore tutti e non c'è efficienza che tenga. Con la parola “cooperazione”, nel senso che le diamo nell'Economia del Bene comune, potremmo dire che restituiamo al “com-petere” il suo senso vero e originario.
Lei non ha paura di usare termini come “bene”, “comune”, “persona”, “dignità”, “lavoro” cadute in discredito, nell'epoca della finanziarizzazione della vita quotidiana. Non teme di essere tacciato di una visione troppo “umanistica” dell'economia?
Christian Felber: Può darsi economia senza persone, senza bene, senza dignità? Critiche di questo tipo non mitoccano, io miro al concreto. E il concreto è un ritorno a ciò che conta davvero nella vita: la soddisfazione dei bisogni, la creazione di una migliore qualità della vita stessa e del bene comune. Il "bene comune" è già obiettivo costituzionalmente garantito nell'economia di molti paesi europei, Italia compresa, ma ce ne siamo dimenticati La Costituzione bavarese testualmente recita: “L'intera attività economica serve il bene comune”. Così, ciò che propongo non è né una novità, né un'astratta utopia. Il denaro è solo un mezzo per l'attività economica e dovrebbe essere ridotto al suo ruolo di servizio. Un'economia del bene comune deve cancellare i redditi da mera speculazione, valorizzando il lavoro, non la sua vampirizzazione.
Abbiamo ancora bisogno di banche, ma di quali banche?
Crede sia possibile un'economia senza banche e prodotti finanziari o, piuttosto, abbiamo bisogno di un altro tipo di banche?
Christian Felber: Fino a quando usiamo il denaro, e anche in un'Economia del Bene comune ne usiamo, abbiamo bisogno di banche. Ma le banche non devono essere orientate a scopo di lucro – così come non dovrebbero esserlo scuole, ospedali o biblioteche. Dovrebbero servire ai servizi pubblici, così come i soldi dovrebbero servire e non essere lo scopo, del fare impresa. In Austria, circa 100 persone stanno dando vita a una "banca democratica" in grado di massimizzare il bene comune al posto dei profitti, ma non distribuire una parte del profitto a i proprietari – in questo caso, sarammo ancora nella logica della vecchia economia – ma al fine di aiutare i risparmiatori a dire addio al meccanismo usuraio degli interessi. Il credito sarà accordato a condizioni ottimali a quelle aziende che rispettano i criteri di bilancio etico stabiliti nell'Economia del bene comune…
Il modello della “Gemeinwohl-Ökonomie” sta avendo notevoli conseguenze pratiche, perché è un "modello", non solo un quadro teorico affascinante, ma vago. Sta sorgendo un movimento, che va nella direzione di questa economia e raccoglie un numero crescente di adesioni. Ci racconta come è nato tutto?
Christian Felber: L'impulso è venuto da una dozzina di imprenditori austriaci che hanno letto il mio libro Nuovi valori per l'economia. In quel libro, ho decostruito gli attuali "valori eonomici" come "successo", "prestazione", "efficienza", "crescita", "concorrenza", "libertà", e simili. Dopo la decostruzione, ho ricomposto gli elementi positivi di questi valori e li ho integrati con valori costituzionali quali la dignità, la giustizia, la solidarietà, la democrazia. Come effetto collaterale, è emerso il progetto per un'Economia del bene comune. Questi imprenditori mi hanno spinto a sviluppare insieme un modello completo e facilmente comprensibile nella messa in pratica. Il 6 ottobre 2010, abbiamo lanciato il progetto e si sono presentate più di 100 persone, mentre l'anno seguente 25 aziende hanno deciso spontaneamente di attuare i principi di bilancio indicati dal nostro modello per testarne l'efficacia. Poi siamo passati a 55 aziende. Quest'anno, le aziende che ci chiedono di applicare questi criteri sono più di 400. Intorno a loro, sono cresciuti più di 50 "campi energetici", chiamiamoli così, ma si tratta di gruppi locali di sostegno, promozione e co-creazione. Più di 15 circoli di attori compongono il "processo globale di ECG": consulenti, revisori, redattori, altoparlanti, ambasciatori, specialisti IT, coordinatori, … ogni giorno persone decidono di unirsi a noi.
Un nuovo bilancio di impatto sociale e democratico
Lei propone dunque un modello alternativo di impresa. Ma non è solo all'impresa, slegata da ogni contesto, che si guarda: l'economia del bene comune appare come un sistema integrato – sistema politico e sociale – il cui centro è la persona umana. Ci può spiegare quali sono i principi, i valori e le implicazioni pratiche del modello?
Christian Felber: L'economia per il Bene Comune si propone di risolvere la contraddizione di valori tra la sfera del mercato – dove il successo economico è decretato da comportamenti egoistici, non empatici e, soprattutto, irresponsabili – e quella dei rapporti umani, che per prosperare hanno bisogno di valori come l'onestà, la fiducia, l'empatia, la cooperazione, solidarietà e condivisione. Quest'ultimo diventa anche il principio guida delle relazioni di mercato e porta al successo economico. Per questa ragione, le norme centrali del gioco dell'economia si spostano dalla concorrenza e dal profitto, alla cooperazione e al conseguimento del bene comune.
Il successo economico non deve più essere misurato con indicatori monetari di scambio, ma con indicatori non economici di valore. A livello macroeconomico, di economia nazionale, il PIL sarà sostituito – come indicatore di successo – dal Prodotto Bene Comune, (PBC). A livello microeconomico, aziendale, il conto patrimoniale da un Bilancio di buon equilibri nel perseguimento del bene comune. Quest'ultimo deve così diventare il bilancio principale di tutte le aziende. Più una società si impegnerà nel sociale, più sarà ecologica e democratica, più sarà solidale, migliore saranno i risultati del suo Bilancio di equilibrio in questa economia del Bene comune. Migliori saranno i risultati, maggiori saranno I vantaggi sul piano legale e fiscale: meno tasse, tariffe agevolate, tassi di interesse più bassi, priorità in materia di appalti pubblici. Attraverso questi incentivi, i prodotti etici costeranno meno per i consumatori rispetto a quelli meno etici, e le aziende responsabili e sostenibili rimarranno sul mercato, mentre le altre saranno destinate a fallire. Esattamente il contrario di quanto accade oggi.
Quali regole per questa “Economia del Bene comune”? Quali parametri per valutarne efficienza e sostenibilità?
Christian Felber: Misuriamo direttamente l'obiettivo. Se l'obiettivo è il bene comune, dobbiamo andare oltre il Pil, a livello dell'economia nazionale e, al livello delle imprese, oltre la mera rilevazione del profitto finanziario. Il denaro è solo un mezzo e quindi non può dire nulla affidabile circa il successo o il raggiungimento di uno scopo. Il successo deve essere misurato osservando gli obiettivi. Un "Prodotto Bene Comune" potrebbe essere composto da 15/25 indicatori di qualità della vita 15-25 definiti in processi democratici bottom-up (dal basso verso l'alto), che noi chiamiamo "convenzioni civili" o "convenzioni democratiche". Bisogna partire prima a livello locale, poi operare a livello statale. In queste assemblee, le persone definiscono ciò che è più importante per loro al fine di ottenere una qualità di vita e un bene davvero comune. Il risultato è il Prodotto Bene Comune (CGP) che si misura ogni anno. Avremo allora una correlazione diretta tra l'abbattimento della disoccupazione e l'aumento del CGP, tra la diminuzione della povertà e l'aumento del CGP, tra equilibrio ecologico e aumento deò CGP (e viceversa). Oggi, il PIL può pure crescere, mentre tutti i problemi sociali, umani e ecologici peggiorare.
A livello microeconomico, ogni azienda deve rispondere alle domande più scottanti di una società: il prodotto / servizio produce senso? Come faccio a produrre “ecologico”? Quanto umane sono le condizioni di lavoro? Abbiamo parità di trattamento tra uomini e donne? Con chi condividiamo il profitto? Chi prende le decisioni e ha la responsabilità delle stesse? Ogni azienda può raggiungere un massimo di 1000 “punti-bene comune”. Più democratica, trasparente, umanamente orientata, ecologico, cooperativa e solidale sarà una società si comporta, più alto il risultato CGBS e migliore è il trattamento giuridico riservatole.
Decrescere e poi?
La “Gemeinwohl-Ökonomie” è alternativa alla “decrescita” proposta dall'economista Serge Latouche o a ipotesi quali la sussidiarità e l'economia dei cosiddetti “commons”?
Christian Felber: Sono prevalentemente complementari. Entrambi, Latouche e l'ECG sono d'accordo che il consumo assoluto di risorse naturali deve ridursi drasticamente fino a un livello globale e intergenerazionale di equilibrio. L'unica differenza: considerando che Latouche sembra dire che "décroissance" è l'obiettivo, l'ECG dice invece che il bene comune è l'obiettivo (di cui una a ridefinizione del consumo ambientale a livello globale e intergenerazionale proprio livello di consumo ambientale è un mezzo per raggiungere un fine: il bene comune, appunto).
Il principio di "sussidiarietà economica" significa che la produzione locale e regionale e di consumo sono la priorità al mercato globale, che aumenta la responsabilità, la sostenibilità e la resilienza. Questo è molto convincente. Il mercato globale è solo il "sale nella minestra". E comunemente proprietà e gestione risorse o servizi di base come la fornitura di acqua, energia, o la salute – "bene comune" – fanno parte della ECG. Proponiamo che il popolo sovrano decida in convenzioni democratiche quali parti dell'economia vogliono organizzarsi come beni comuni e quali no.
L'Europa uscira dunque dalla crisi con meno soldi ma più bene comune?
Christian Felber: Almeno abbiamo la possibilità di passare a un gradino successivo: dopo il capitalismo e il comunismo, si potrebbe implementare un modello che fornisce sia la libertà individuale (aziende private), sia il benessere di tutti (obiettivo della società e dell'economia ). Alcuni avranno più soldi, altri un po 'di meno. Ma quello che conta è la soddisfazione dei bisogni di base e dei valori immateriali che non possono essere espressi in denaro in modo adeguato. Questi bisogni e questi valori diverranno il vero scopo dell'attività economica. Lo credo fortemente.
@oilforbook
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