Volontariato

Economia collaborativa, una sfida per il volontariato

L'intervento del presidente della rete dei Centri di servizio per il volontariato alla vigilia della Conferenza organizzativa di Matera: «Saranno tre i verbi al centro della scena: scegliere, provocare, connettersi. I primi banchi di prova? il bilancio sociale e la sharing economy»

di Stefano Tabò

Scegliere, provocare, connettersi. Sono le parole scelte da CSVnet per la sua conferenza organizzativa 2018. Tre verbi che richiamano azioni impegnative, ma anche un modo possibile per affrontare “le sfide del volontariato nella società dello scontento”, come recita il sottotitolo dei quattro giorni di lavori.

Dal’11 al 14 ottobre a Matera oltre 300 delegati dai Centri di servizio per il volontariato di tutta Italia – in gran parte dirigenti a loro volta di organizzazioni non profit – ascolteranno una quarantina di relatori, assisteranno alla “prima” nazionale dello spettacolo teatrale sul volontariato “#IoSiamo”, faranno emergere da cinque macro gruppi di lavoro le migliori esperienze locali e le piste di lavoro che CSVnet dovrà seguire nell’immediato futuro.

Il tradizionale appuntamento dell’associazione dei Csv inizierà giovedì 11 con una sessione preliminare su due temi di attualità per l’efficienza e l’immagine stessa dei Csv (e di tutto il terso settore) nei prossimi anni: il bilancio sociale e l’economia collaborativa. La giornata seguente, tutta in plenaria, si aprirà con un confronto sulla “nuova stagione” dei Centri di servizio: l’evento di Matera cade infatti in una sorta di snodo per la nostra rete, dato che solo due giorni prima l’Organismo nazionale di controllo dei Csv dovrebbe aver preso decisioni importanti per l’avvio della loro gestione secondo quanto previsto dal Codice del terzo settore. A questo punto entreremo nel merito delle suggestioni lanciate dal titolo della conferenza, con le attese relazioni di Giambattista Sgritta (“La libertà di andare controcorrente”), Linda Laura Sabbadini (sui 10 anni di crisi economica e sociale), Maurizio Ambrosini (“Ero straniero…”), Stefano Laffi (“Il volontariato come antidoto allo scontento”), Carlo Borgomeo (sulla credibilità del terzo settore). Concluderemo domenica 14 con alcuni aggiornamenti sull’intensa attività di CSVnet e con l’assemblea dei soci.

Il motivo per cui abbiamo scelto quei tre verbi (e quei cinque temi per i gruppi) è naturalmente legato al momento vissuto dal nostro Paese. Avvertiamo la necessità che il volontariato non solo reagisca al clima di diffidenza che lo sta progressivamente investendo, ma faccia sentire più forte la propria voce nel dibattito sui grandi temi sociali. E ciò potrà avvenire solo se si rafforzerà, anche attraverso la riscoperta delle sue radici e delle sue idealità.

La prima azione è dunque quella dello scegliere. Divenire o continuare ad essere volontario è (e deve essere) una scelta libera, come scritto nella legge 266 del ‘91 e nello stesso Codice del terzo settore. Ma non si sceglie solo di fare il volontario, bensì, inevitabilmente, si orienta la propria attività di volontariato. Scegliere presuppone la volontà e la capacità di distinguere arrivando a determinare. I volontari scelgono di mettere a disposizione gratuitamente il loro tempo e le loro capacità, e contemporaneamente finalizzano il loro impegno in favore della comunità e del bene comune, per promuovere risposte al bisogno che hanno individuato, preferendolo tra gli altri. E questa disponibilità è sempre particolarmente attratta dalle situazioni di maggiore emergenza, di palese ingiustizia, di marcata esclusione, di più intenso contrasto con quel senso del bene comune”.

Da qui il passaggio al provocare. Luciano Tavazza diceva che “non possiamo essere i barellieri della storia”, per ricordare come l’atto di portare la barella – non solo metaforicamente – non esaurisce il valore del volontariato; non riesce cioè a riassumere e rappresentare la finalità del volontariato se, oltre la stretta contingenza, si accetta di osservarlo nella pienezza delle intenzioni. Il volontariato provoca due volte: quando interviene sul problema reso manifesto e quando agisce per rimuovere le cause che lo hanno procurato. In entrambi i casi, non si ferma a una denuncia. Non manca chi auspicherebbe un volontariato meno impiccione e più concentrato sul fronte della riparazione dei danni. Ma il ruolo politico del volontariato è connaturato alla sua storia e alla sua natura. Per tale ragione può risultare scomodo e provocante”.

La sfida conseguente è allora quella di connettersi. È la sfida di cogliere la pluralità delle congiunzioni che l’esperienza del volontariato porta con sé, abbattendo il diaframma della separatezza e il dramma della solitudine, coniugando la dimensione locale con quella globale, radicandosi nel tempo presente senza rinunciare alla sostenibilità futura. Il volontariato crea connessioni dentro le associazioni, tra generazioni e sensibilità differenze, ma soprattutto ne crea con i soggetti al centro del “problema” che di volta in volta affronta: mi connetto con chi intendo aiutare, con il massimo rispetto per l’identità e la storia che lo caratterizza. Non creo, per quanto possibile, dipendenza ma mi adopero per consentire e supportare autonomia e affrancamento. È un legame di liberazione”.

(A questo link la versione integrale dell’introduzione di Stefano Tabò alla conferenza di Matera)

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