Sostenibilità

Ecofocus: a che punto è l’Italia?

Alcune domande poste a Corrado Clini e a Edo Ronchi.

di Redazione

Il Protocollo avvia il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. In questo campo l?industria italiana è in ritardo. Perché?
Clini:L?Italia utilizza la percentuale di idroelettrico più elevata d?Europa: il 20% del portafoglio energetico. Per altri aspetti invece siamo indietro. Non avendo un vento adeguato non possiamo costruire impianti di produzione di energia eolica, se non sul versante appenninico meridionale. Ma anche qui su una potenzialità di 3mila megawatt ne stiamo utilizzando solo un terzo. E a volte la colpa è degli enti locali: la Sardegna ha bloccato progetti già pronti. A livello amministrativo invece mancano incentivi efficaci.
Ronchi:L?industria italiana, dal 1990 al 2003, centrali a parte, ha ridotto le emissioni di 1,2 milioni di tonnellate. Nelle sole centrali energetiche invece sono aumentate di 22,9 milioni di tonnellate; nei trasporti di 26,3 e nel civile di 9,7. Il problema è che la produzione di energia è ancora legata al petrolio, al carbone e ai combustibili che rilasciano gas serra. Una centrale ad olio combustibile emette 722 grammi di CO2 per KW/h. Una a gas 361: la metà. Bisogna portare a termine le centrali a gas ad alto rendimento e poi aumentare le fonti rinnovabili.

Il Protocollo di Kyoto per alcuni è una «sciagura economica», per altri una grande opportunità.
Chi ha ragione?
Clini:È un?occasione di innovazione interna ed esterna proprio per la sua natura di negoziato internazionale. Nel settore industriale abbiamo poco da recuperare. Ma in ambito civile bisogna intervenire: parlo di università, ospedali, edifici residenziali, uffici. In accordo con le Regioni abbiamo progetti già finanziati per impianti a efficienza media superiore del 30%, che dovrebbero coprire il 25% della domanda interna di elettricità. Al di là dei nostri confini, invece, stiamo valutando l?uso di tecnologie ad alta efficienza e fonti rinnovabili.
Ronchi:Sciagura economica non direi. Kyoto richiede investimenti, ma l?efficienza sarebbe di gran lunga superiore. Le tecnologie hanno costi elevati, ma possono rendere vantaggi economici. A livello domestico, per esempio, se ci fossero riscaldamenti autonomi in tutte le abitazioni si risparmierebbe, così come con i vetri termici antidispersione. La spesa si ripaga nel tempo. Gli elettrodomestici ad alta efficienza elettrica consentono un risparmio del 40-50%. Il petrolio costa, bisogna investire diversamente, in innovazione. Altrimenti incorreremo in guai seri.

Secondo Kyoto l?Italia deve arrivare a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 6,5%. A che punto siamo oggi?
Clini:Siamo a +7%. Ma quando nel 97 è stato sottoscritto il Protocollo tutti i Paesi europei sapevano che le emissioni sarebbero cresciute in proporzione ai consumi. Le misure infrastrutturali per cambiare il sistema energetico e diffondere tecnologie che liberino dai fossili richiedono tempi più lunghi del 2012. Solo tre Paesi oggi sono in fase di riduzione, ma per motivi particolari. La Germania ha chiuso gli impianti industriali a Est. La Gran Bretagna ha sostituito il carbone al gas e continuato a produrre energia nucleare.
Ronchi:Siamo al +12%. Andiamo molto male e si sta facendo poco per migliorare. Con un grosso impegno è ancora possibile rispettare i termini, ma non è facile. Negli ultimi quattro anni c?è stato un peggioramento netto. Gli investimenti pubblici nella ricerca sono nella media europea, intorno all?1% del Pil, ma se i privati non iniziano a fare la loro parte, resteremo sempre fermi. Si dovrebbero unire risorse pubbliche e private, anche esportare tecnologie pulite ai Paesi in via di sviluppo, come previsto dal Protocollo. Ma i progetti sono ancora troppo pochi.

A Buenos Aires il governo italiano ha annunciato che non si avvierà una fase successiva a Kyoto. Qual è il motivo di questa posizione?
Clini:L?Italia ha solo detto, come tutta l?Unione Europea, che dopo il 2012 l?impegno della riduzione dovrà riguardare anche i Paesi non firmatari. Il terzo rapporto sul clima delle Nazioni Unite fissa una riduzione delle immissioni globali del 60% entro il 2030. Non si può lavorare solo con un ristretto gruppo. Gli Stati Uniti, la Cina, l?India, il Sudafrica devono partecipare. Se non si allarga il campo alle grandi economie del pianeta è inutile che l?Europa corra da sola. A marzo la Gran Bretagna organizza una conferenza internazionale sull?ambiente e le tecnologie. Bisogna coinvolgere tutti.
Ronchi:Sbagliano. Sono stati criticati anche dal Parlamento europeo. La riduzione delle emissioni globali di gas serra è soltanto il primo step del Protocollo. Ci vuole assolutamente una fase successiva e più impegnativa, che coinvolga i Paesi in via di sviluppo come la Cina e l?India. Sono grandi Paesi con emissioni medie pro capite basse, che su base complessiva diventano però rilevanti. E per gli Stati Uniti vale lo stesso discorso. Non possono rimanere fuori dagli accordi. Se noi come Paesi sviluppati possiamo fare di più, loro comunque devono contribuire.

Il piano di allocazione italiano è stato molto criticato in Europa. è vero che l?Italia vuole permettere al comparto industriale di inquinare di più?
Clini:Stiamo lavorando con la Commissione Europea su alcuni dati e numeri, ma non siamo stati criticati. La nostra struttura energetica ha poco carbone: il 10-12% contro una media europea del 25%. Non è giusto avere gli stessi obblighi della Germania, che ha il 30% di carbone e il 25% di nucleare. Rivendichiamo solo il diritto di stare nella media europea. Altrimenti per assurdo ci troveremmo a dover comprare permessi di emissioni dalla Germania, che è più inquinante, e dalla Francia, che usa il nucleare.
Ronchi:L?Italia scommette più sul basso costo del carbone che non su innovazione ed efficienza energetica. Il piano del governo per le emissioni è stato respinto dalla Commissione europea. L?emission trading viene fatto tra chi riduce di più e vende le proprie ?quote? a chi riduce meno. L?Italia invece ha presentato un piano di aumenti. Tutto perché punta troppo sul carbone per ragioni di costi. E sui trasporti, che al momento sono il settore più inquinante, non interviene. Anzi, non ne ha calcolato l?impatto, così come non lo ha fatto per il consumo civile.

Alcuni esponenti della maggioranza hanno espresso pareri favorevoli al nucleare. Lei cosa ne pensa?
Clini:Se la Ue non avesse il nucleare le emissioni sarebbero molto più elevate. Gran Bretagna, Belgio, Francia, Spagna, Germania producono un basso livello di gas serra proprio grazie al nucleare. Diversamente, l?Europa non avrebbe avuto l?opportunità di assumere gli impegni di Kyoto. Questo è un dato di fatto innegabile. Cina, India, Sudafrica e Argentina sono impegnati in programmi nucleari. Rimanere fuori da questo contesto sarebbe sbagliato. Bisogna incentivare la ricerca e lo sviluppo sul nucleare sicuro.
Ronchi:Il nucleare non ha risolto i problemi di sicurezza, in particolare del ciclo dei combustibili e della gestione delle scorie. Il tempo di dimezzamento della radioattività del plutonio, e parlo solo di dimezzamento, non di scomparsa, è di 24mila anni. Dopo di che rimane comunque a contaminare. Sono problemi aperti e irrisolti. Poi bisogna considerare che l?energia nucleare è la più cara. E non ci si può dimenticare che fornisce un valido contributo soltanto ad una quota di energia elettrica.
a cura di Chiara Sirna

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