Ambiente e salute

Ecoansia: quanto soffrono i giovani?

Al via il primo studio nazionale sulla solastalgia. Greenpeace e ReCommon, assieme ai gruppi studenteschi, vogliono sollevare il dibattito sull'ansia per il clima che cambia, diffusa soprattutto tra i più giovani. «Le evidenze scientifiche serviranno a sensibilizzare le istituzioni politiche, perché adottino misure a sostegno delle presenti e future generazioni», commenta Rita Erica Fioravanzo, presidente dell’Istituto europeo di psicotraumatologia e stress management, che fornisce il supporto scientifico. I risultati a settembre

di Elisa Cozzarini

Comprendere l’impatto della crisi climatica sulla salute mentale degli under 35 in Italia: è questo l’obiettivo della prima ricerca nazionale sulla solastalgia, un disturbo emergente, più noto come “ecoansia”. L’indagine, che coinvolgerà un ampio campione di studentesse e studenti, parte in questi giorni ed è promossa da Greenpeace Italia, ReCommon, Unione degli universitari – Udu e Rete degli studenti – RdS, con il supporto scientifico dell’Istituto europeo di psicotraumatologia e stress management. Le organizzazioni promuovono, nelle scuole e nelle università italiane, la compilazione di un questionario, sul modello di quanto realizzato nella campagna “Chiedimi come sto”, lanciata nel post pandemia in Italia dai gruppi studenteschi. La preoccupazione e la paura per il cambiamento climatico possono indurre ansia, depressione, pessimismo, perdita di speranza nel futuro? 

«Viviamo sempre più spesso eventi estremi come ondate di calore, incendi, alluvioni che, oltre a causare ingenti danni materiali, hanno anche impatti meno visibili ma altrettanto pericolosi. Ci chiediamo se la crisi ambientale, oggi, possa anche amplificare una situazione di disagio già presente nelle generazioni più giovani, che hanno vissuto la pandemia negli anni della formazione scolastica», spiega Simona Abbate, della campagna Clima ed Energia di Greenpeace Italia. «Vogliamo aprire il dibattito su come i cambiamenti climatici, e quindi l’industria fossile che li causano, influenzino anche il benessere mentale delle persone, specialmente di coloro che ne subiranno maggiormente le conseguenze. Gli effetti sulla salute mentale della crisi climatica dovrebbero essere annoverati tra i crimini di cui l’industria fossile è responsabile e di cui chiediamo conto, anche in tribunale, alle compagnie dell’oil&gas come Eni».


Gli studenti di Udu e RdS dichiarano: «La nostra generazione vive sulla propria pelle ogni giorno i risultati di una politica negazionista, che non vuole riconoscere gli effetti del cambiamento climatico e non fa nulla per invertire la rotta rispetto al collasso del nostro pianeta. L’obiettivo di questo studio è rimettere al centro la questione climatica e le conseguenze che ha sulla salute mentale dei giovani. Non possiamo più aspettare, la solastalgia deve essere riconosciuta».

Rita Erica Fioravanzo, presidente dell’Istituto europeo di psicotraumatologia e stress management, sottolinea l’importanza di una ricerca che potrà essere replicata in altri Paesi del Mediterraneo, tra le aree del pianeta più colpite dalle conseguenze del cambiamento climatico. «Questo studio ci permetterà di acquisire dati basati sulle evidenze scientifiche al fine di sensibilizzare le istituzioni politiche affinché adottino misure pratiche a sostegno delle presenti e future generazioni», commenta.

I risultati dell’indagine saranno resi noti a settembre. 

Nella foto, una giovane attivista di Greenpeace davanti alla Commissione europea

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