Cultura

Ecco tutto il “Bassetti pensiero”

«Vivere da cristiani senza carità è una sciagura». I vescovi? «Sposi della Chiesa», «Padri nella fede», «Operai del Vangelo». «Rinunciare all’autoreferenzialità e al clericalismo»

di Marco Roncalli

Probabilmente papa Francesco lo immaginava alla guida dei vescovi italiani già nel concistoro del 22 febbraio 2014, avendolo creato cardinale nonostante il fatto che la sede di Perugia non prevedesse la berretta rossa: una designazione – appunto – «non propter sedem, sed propter sedentem», cioè non per via della sede (l’ultimo arcivescovo di Perugia cardinale era stato Gioacchino Pecci poi eletto pontefice con il nome di Leone XIII), ma della persona sulla cattedra (di quella Chiesa locale).

Detto ciò, da ieri il riflettore mediatico che aveva accompagnato il conferimento della porpora si è riacceso alla notizia del suo nuovo ruolo di presidente della Cei. E così Gualtiero Bassetti, ordinato sacerdote nel ‘66 a Firenze, rettore del Seminario minore e maggiore rispettivamente nel ’72 e nel ’79, vicario generale dell’arcidiocesi di Firenze nel ’92, vescovo di Massa Marittima-Piombino nel ’94, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro nel ’98, poi di Perugia-Città della Pieve nel 2009, cardinale nel 2014, torna alla ribalta. E, nonostante i 75 anni compiuti, l’eta in cui i vescovi presentano la loro rinuncia, godendo di una proroga di altri cinque anni a Perugia, potrebbe svolgere un quinquennio completo come Presidente della Cei di cui conosce le dinamiche essendone già stato Vicepresidente dal 2009 al 2014.

Se non è certo sconosciuta la cifra pastorale che sintetizza il suo servizio per quanti fossero interessati ad approfondire il pensiero del Neopresidente della Cei, per ora resta un buon punto di riferimento la raccolta dei suoi interventi uscita in occasione dei vent’anni di episcopato e del primo di cardinalato con il titolo «La gioia della carità» (edita da Marcianum Press). Una raccolta significativa con prefazione del cardinale Silvano Piovanelli (mancato il 9 luglio scorso), aperta dallo stesso autore (il cui motto episcopale è «in charitate fundati») con un rimando preciso al passo paolino della prima lettera ai Corinzi che costituisce un inno alla carità.

A seguire contributi nati da occasioni diverse, tenuti uniti dal tema della carità, che afferma con certezza il cardinale Bassetti «non è un ideale o un sentimento affettuoso, ma è un incontro autentico con il divino». Detto con santa Teresa di Gesù Bambino: «È quella strada perfetta che porta a Dio». Non solo: «…vivere da cristiani senza carità è una sciagura. E una sciagura per noi stessi e per tutte le persone che ci sono accanto», afferma Bassetti. Di un’altra cosa poi il Porporato appare sicuro e cioè che la gioia è proprio il dono fatto dal cristianesimo all’umanità. Dunque: «Essere cristiani senza gioia non è possibile». Insomma, come titola il suo libro la sintesi della vita cristiana sta in questa «gioia della carità».

«È dunque fondamentale entrare in una dimensione di perenne missione verso gli ultimi e verso i poveri. Ancora oggi queste parole evangeliche recano scandalo. Lo scandalo della povertà è lo scandalo della sofferenza. Ed è anche l’equivoco di una diffusa ideologia che vede nel riscatto sociale un desiderio di vendetta e di potenza», scrive Bassetti introducendo la raccolta dei suoi scritti. Ma per indicare chi sono gli «ultimi» usa parole e concetti di Papa Wojjtyla e di Papa Bergoglio: «…direbbe san Giovanni Paolo II: sono gli “sconfitti della vita” che sono stati abbandonati da tutti; sono gli esclusi del nostro sistema sociale ed economico prodotti da quella “cultura dello scarto” più volte denunciata da Francesco. Gli ultimi sono gli immigrati e i bambini mai nati, sono i poveri delle periferie e i precari delle metropoli, sono le donne umiliate e gli anziani abbandonati, sono i giovani esclusi dal lavoro e le famiglie maltrattate da una cultura individualista e materialista». Saranno le priorità della nuova agenda Cei?

Nel libro gli interventi di Bassetti sono poi aggregati attorno ad alcune tematiche, in particolare: la Chiesa, il profilo del Buon Pastore, il destino dell’umanità, dei poveri e della città. Costante a ogni modo il richiamo a tutti i cristiani circa i loro doveri verso i fratelli, oltre a non far mancare attenzione a quanti sono distanti dalla Chiesa. Inoltre una direttiva applicata a se stesso: «Operare per la comunione nella Chiesa». Costante pure l’attenzione al mondo del lavoro e alla famiglia «Chiesa domestica», dopo aver dato prova di piani pastorali senza ignorare i temi della vita, della parrocchia dal volto missionario e comunità educante, della giustizia sociale.

Tutto questo però con un punto fermo: «L’annuncio del Vangelo […], non è una dimensione accessoria della nostra fede ma ne é il presupposto essenziale».

Al primo posto di quel principio di «gerarchia delle verità» pure parte dell’eredità del Vaticano II: «Prima si annuncia l’amore di Cristo per ogni uomo e poi viene tutto il resto. Prima si annuncia il kerygma e poi viene la dottrina sociale o la teologia. E non viceversa». Altro pezzo di eredità conciliare l’invito a ogni cristiano ad «andare verso l’uomo così come egli è, e non come vorremmo che fosse, secondo i nostri schemi teologici oppure secondo i nostri progetti pastorali o, addirittura, secondo le nostre idee politiche travestite da buoni propositi».

Insomma la parabola del samaritano, e il riferimento al vero significato dell’espressione «Chiesa in uscita», riletta anche alla luce dell’ispirazione di Paolo VI e come sintesi del paradigma della spiritualità conciliare.

E a proposito della grande assise, del Vaticano II, in una meditazione svolta in occasione del 30° anniversario dell’apertura per l’adorazione della chiesa della Madonna della Luce a Perugia, il 10 ottobre 2014, ecco cosa affermava il cardinale Bassetti: «Il Concilio Vaticano II, però, come ho avuto modo di ripetere in più occasioni, pur segnando un momento paradigmatico nella storia della Chiesa e una fonte di ispirazione importantissima per quella conversione pastorale a cui fa costante riferimento Francesco, va letto sempre secondo un’ermeneutica della continuità e non della rottura. Anche perché, com’è noto, il Vaticano II è il prodotto di una temperie culturale, di un dibattito teologico e di una prassi pastorale precedente agli anni di svolgimento del Concilio stesso che si può far risalire sino al pontificato di Pio XII…».

Tra indicazioni contenute nello stesso testo per esempio alla figura di Charles de Foucauld o, in altri contributi, a Giorgio La Pira o al cardinale Giovanni Benelli, tra espressioni di gratitudine a papa Benedetto XVI nel momento in cui si concludeva l’esercizio del suo ministero («che rimarrà nella storia della Chiesa non solamente per il suo coraggioso atto conclusivo […], ma per tutto quanto Egli ci ha testimoniato, con una fede viva e cristallina, e per tutto quanto ci ha insegnato, con una sapienza altissima»), tra forti denunce circa i cristiani vittime di persecuzioni nel mondo («… in tutto il mondo occidentale si parla pochissimo di questa tragedia. Perché questo silenzio?», così il 21 marzo 2013 intervenendo sul tema «Cristiani perseguitati. Cristianofobia a cavallo tra secondo e terzo millennio»), e pronte condivisioni di riflessioni di papa Francesco per esempio sull’«ecumenismo del sangue», non senza soste sulla preziosa eredità per l’Umbria di figure diverse – da Angela da Foligno a madre Speranza – il lettore avanza nei capitoli ancorato a testi di rara chiarezza.

Sino a trovare una parte che potrebbe legarsi di più anche al nuovo ruolo di Bassetti. Come le meditazioni svolte durante gli esercizi spirituali della Conferenza episcopale piemontese a Spotorno, nel savonese, dal 26 al 30 novembre 2012. Lì Bassetti afferma: «Chi è il vescovo? Scusate se pongo una domanda cosi scontata. Ma il Concilio Vaticano II e il magistero dei papi non hanno mai cessato di ricordarcelo, sottolineando sempre nuovi aspetti. Infatti, se ontologicamente il sacramento non cambia, se nella fedeltà a Cristo unico Sacerdote la nostra missione rimane la Sua missione, e così deve essere, non possiamo fare a meno di tenere conto della sfida dei tempi che cambiano e sempre ci stimolano verso una creatività santa, per realizzare l’unica opera che interessi l’uomo: l’opera della redenzione, in vista della vita eterna». E, colto il «forte legame con la Chiesa sposa, e di conseguenza la nostra responsabilità nei confronti della bellezza, della santità,[…] della salute della Chiesa», ecco in altro intervento una riflessione più spirituale sulla «paternità episcopale».

In ogni caso sono almeno quattro i punti cardine ricavati dal magistero di papa Francesco che il Vescovo Gualtiero ha sin qui indicato alla sua Chiesa di Perugia-Citta della Pieve per il suo rinnovamento nella direzione della conversione pastorale: il ritorno alla sorgente della fede, l’inclusività, la perifericità, la sinodalità. Di suo poi, da sempre, il Neopresidente della Cei, da altre due cose ha sempre preso le distanze : l’autoreferenzialità, il peccato «che colpisce le chiese che ritengono di non aver bisogno di nulla» («Purtroppo è un virus dilagante per il quale mancano spesso, soprattutto ai preti e ai vescovi, gli anticorpi»), e il clericalismo, ovvero quella sorta di paternalismo «che non permette ai battezzati di crescere ed esclude quelli che non sono in sintonia con il responsabile della comunità», quella presunzione che «sembra autorizzare a forgiare la comunità cristiana a nostra immagine e somiglianza e a disprezzare il cammino fatto prima del nostro arrivo». «È per rinunciare al clericalismo che dobbiamo avere il coraggio di rivedere – a partire dal vescovo – le modalità con cui esercitiamo il governo nella Chiesa», afferma Bassetti in queste pagine.

«Perciò – e Bassetti lo sosteneva già nella Lettera pastorale in occasione della prima visita alla diocesi di Massa Marittima e Piombino, l’8 settembre 1995- il vescovo non potrà non rivolgere particolare attenzione alle iniziative comunitarie di carità che già fioriscono nella diocesi e non promuoverne altre rispondenti ai sempre nuovi bisogni. Solo col compimento di questo dovere si può svelare il vero volto del cristianesimo a molti uomini di oggi e rendere credibile lo stesso annuncio della Parola di Dio. Il vescovo viene come operaio del Vangelo, esclusivamente per annunciare nell’umiltà, nella modestia e nella carità evangelica Gesù Cristo unico Signore nostro, e per farsi tramite della sua grazia e gioia verso tutti, senza distinzione».


Da Vatican Insider di Marco Roncalli

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