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Ecco quale sarebbe l’impatto dei porti chiusi alle Ong

Dopo gli ultimi sbarchi, l’Italia minaccia l’Europa di chiudere i porti alle Ong straniere, ma in realtà le organizzazioni salvano solo il 30% dei migranti nel Mediterraneo. Quali sarebbero le conseguenze di un blocco alle organizzazioni umanitarie?

di Ottavia Spaggiari

12mila migranti sbarcati negli ultimi due giorni e 80mila dall’inizio dell’anno nei porti italiani. Numeri che, probabilmente insieme alla débacle alle amministrative, hanno fatto fare dietrofront al ministro dell’Interno Minniti, in viaggio verso gli Stati Uniti, per incontri al vertice con l’amministrazione Trump perché, ha spiegato: «Quello che stava accadendo nel Mediterraneo centrale e quello che accadrà nelle prossime ore nei nostri porti e lungo le nostre coste richiedeva la mia presenza qui a Roma e delle decisioni immediate che sono state prese».

Tra queste un messaggio durissimo all’Europa e la minaccia di chiudere i porti alle Ong straniere. Ancora una volta quindi, si parla di Ong in mare, come se il tema dei soccorsi riguardasse solo loro. «In realtà le Ong sono responsabili solo del 30% dei salvataggi nel Mediterraneo», ricorda Michele Trainiti responsabile di Medici Senza Frontiere per le operazioni di ricerca e soccorso. «Tra quelle che lavorano in mare, solo 2 battono bandiera italiana, una è la Prudence, che è nostra, l’altra è quella di Save the Children. In realtà il motivo per cui molte navi non sono italiane è abbastanza casuale, legato principalmente a quali fossero disponibili per essere affittate». L’altra nave di Medici Senza Frontiere, l’Acquarius, gestita in collaborazione con SOS Mediterranée, batte bandiera di Gibilterra, ma rispetto alla possibile chiusura dei porti alle navi straniere Trainiti è cauto: «Non abbiamo ancora ricevuto nessuna comunicazione ufficiale, per ora aspettiamo», continua. «Ci preoccupa però l’incertezza e il rischio di lasciare le persone sulle navi per molto tempo. Dopo i salvataggi la priorità è raggiungere il porto sicuro più vicino il più velocemente possibile. Le persone sono in condizioni critiche, vengono dall’inferno della Libia, dove hanno subito di tutto». Secondo Medici Senza Frontiere (MSF) il problema vero sta nei numeri delle imbarcazioni che fanno search and rescue, che rimangono ancora troppo poche, rendendo così problematico anche l’eventuale trasporto delle persone salvate nei porti francesi e spagnoli, qualora i governi di questi Paesi dovessero aprirli, come richiesto dalla Commissione.

«Il problema è anche logistico e non riguarda solo le Ong, ma tutte le navi che fanno soccorsi. Non ci sono abbastanza navi e ci troviamo spesso a superare la capienza massima di moltissimo. Siamo stracarichi. Non ci sono nè l’ambiente igienico adeguato, né le risorse per garantire le cure necessarie. Questo rischia spesso di creare dei problemi a bordo e di far degenerare la situazione». Continua Trainiti. «La navigazione per la Francia dovrebbe impiegare circa 3 giorni in più, mentre quella per la Spagna anche una settimana in più rispetto a quella per l’Italia, ciò significherebbe prolungare una navigazione già difficilissima e allontanare le poche navi che ci sono per diversi giorni, addirittura per due settimane, perché il tempo per tornare nel punto in cui lavoriamo sarebbe quello». MSF solitamente si muove infatti a 25 miglia nautiche dalla costa libica. «Ogni operazione di salvataggio è coordinata dalla Guardia Costiera Italiana. Non siamo noi che decidiamo dove andare. Sappiamo lo stress a cui è sottoposto il sistema di accoglienza italiano, ma togliere anche solo una nave che fa search and rescue per così tanto tempo, vuol dire togliere risorse preziose». E a chi si domanda perché non si possano effettuare gli sbarchi a Malta, Trainiti risponde così: «Il porto vicino sicuro è italiano: Lampedusa. Malta si rifiuta di accettarli e onestamente, anche se accettassero, dopo aver fatto sbarcare 5mila persone non ci sarebbe più spazio. Il problema si risolverebbe se, come chiediamo da tempo, gli stati europei mettessero a disposizione più navi, se ci fosse una risposta politica congiunta». Un pensiero condiviso anche da SOS Mediterranée, che in una nota scrive: « Abbiamo sempre seguito le istruzioni fornite dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo (MRCC) a Roma, incluse le indicazioni sul porto di sbarco per coloro che sono stati salvati dalle nostre squadre di ricerca e soccorso.

Siamo consapevoli che la situazione dei migranti e dei rifugiati nel Mediterraneo centrale si è deteriorata negli ultimi anni e che l'Italia da troppo tempo è in prima linea di fronte a questa tragedia umanitaria che richiede una risposta coordinata dagli Stati europei. Tuttavia, crediamo anche che chiudere i porti sicuri per le persone che cercano rifugio da guerra, violenza e povertà non può essere la soluzione», scrive l’organizzazione. «Vorremmo sottolineare ancora una volta che le Ong non sono né la causa, né la soluzione di questa crisi umanitaria, ma una risposta al fallimento dell'Unione europea nel trovare un approccio comune alla tragedia che si sta svolgendo alle porte di casa nostra. Gli Stati e i governi devono assumersi e condividere le responsabilità. Senza la nostra presenza in mare, morirebbero ancora più persone».

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