Mondo

Ecco perché l’hanno uccisa

Il Rapporto dell'associazione Memorial, cui apparteneva Natalja Estemirova, assassinata ieri a Grozny

di Redazione

Su un blog che si occupa di informazione sulla Russia è apparsa la traduzione di un articolo apparso sulla Novaya Gazeta, in cui si raccolgono le drammatiche denunce dell’organizzazione umanitaria Memorial, di cui faceva parte Natalja Estemirova (nella foto), uccisa ieri a Grozny. È una documentazione impressionante di quel che sta accadendo in quell’angolo del mondo e che resta sotto una cappa di silenzio. Ringraziamo Matteo Mazzoni che ha tradotto l’articolo sul suo blog La Russia che non tutti conoscono.

di Elena  Milasina della Novaya Gazeta

La scorsa settimana (la prima di luglio, ndr) l’organizzazione per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch e il centro per la difesa dei diritti umani Memorial hanno presentato a una conferenza stampa il rapporto comune “Rivalsa per i figli. Incendi di case in Cecenia come mezzo di punizione collettiva”. Nel rapporto si descrive dettagliatamente e si analizza dal punto di vista del diritto russo e internazionale la pratica di incendiare le case dei parenti dei militanti, posta in atto dal giugno 2008 al giugno 2009.La statistica è la seguente. In tutto, secondo i dati degli attivisti per i diritti umani, in un anno ci sono stati 26 incendi. Questa cifra non è assoluta, sono stati registrati solo i casi in cui le persone hanno deciso di parlare. Solo in tre casi le vittime hanno avuto il coraggio di scrivere una dichiarazione ufficiale al PC distrettuali, a cui spettano i casi degli incendi delle case, molto semplicemente non lo fanno. Secondo Tat’jana Lokšina, ricercatrice della sezione moscovita di Human Rights Watch, ciò è legato a due fattori: “In primo luogo, c’è motivo di sospettare che gli incendi, a ben vedere, siano appiccati dagli stessi agenti delle ROVD locali, in secondo luogo, la pratica della punizione collettiva dei genitori per i figli che sono andati tra i militanti, è stata pubblicamente sancita dalle autorità cecene”. Memorial, che, a sua volta, si è rivolto alla Procura. Su due autori di dichiarazioni in seguito sono state fatte pressioni e questi hanno riconosciuto ufficialmente che le loro case erano bruciate per la loro inavvedutezza (per una candela che avevano acceso o per un pezzo di carbone acceso caduto fuori dalla stufa). Su nessun incendio si è indagato. Anche la Procura Generale, a cui si è rivolto il PC Memorial, tace.  Nel rapporto sono documentati dettagliatamente 13 casi di incendi di case. Dalle conversazioni con le vittime di incendi (molte di esse sono famiglie numerose, rimaste senza un tetto sulla testa) si disegna uno schema comune, che parla del fatto che gli incendi delle case sono una pratica sistematica. Da ogni famiglia la squadra degli incendiari è giunta dopo le 12 di notte. Questo è avvenuto, di regola, qualche giorno dopo il darsi alla macchia di qualcuno della famiglia (con i militanti fuggono ceceni di età tra i 18 e i 30 anni, tanto uomini, quanto donne). Le persone sono state cacciate di casa per strada o sono state chiuse nella casa dei vicini. Poi la casa è stata perquisita, vi è stata versata benzina e si è atteso finché non bruciava. Queste operazioni di solito prendono circa due ore. Non una volta sono giunti i pompieri o la polizia che erano stati chiamati.

Bisogna dire che la pratica della punizione collettiva non fa parte solo del know-how. Sia nella prima, sia nella seconda campagna cecena i federali hanno praticato attivamente fin dall’inizio il principio terroristico “tutti per uno”.

Anche la cosiddetta cecenizzazione (ceceni che uccidono ceceni), utilizzata efficacemente da Mosca negli anni 2000, si basa sul più largo utilizzo possibile del principio della responsabilità collettiva. Questo principio fu proclamato pubblicamente per la prima volta nel 2004 a Gudermes  ai funerali di Džabrail Jamadaev, fatto saltare in aria dai militanti nella propria casa. Allora in Cecenia (a Gudermes, a Centoroj , ecc.) erano state create delle prigioni segrete dove venivano rinchiusi, torturati e uccisi i parenti dei più noti leader delle organizzazioni clandestine cecene (sono noti i casi di rapimento di donne e uomini parenti di Aslan Maschadov, Dokku Umarov , Magomed Chambiev , ecc.).

Se si parte dai funerali di Džabrail Jamadaev, si può trarre una conclusione: da 5 anni come minimo in Cecenia è in corso una crudelissima guerra contro le organizzazioni clandestine, i cui evidenti bersagli diventano i civili, uomini, donne, vecchi e bambini. Questi non fuggono nei boschi e sui monti, vivono nelle proprie case. La loro colpa è di essere parenti di militanti. Tali metodi di lotta danno risultati? Gli esperti notano che l’attività delle organizzazioni clandestine in Cecenia si è ridotta. Ma in realtà non si sa nulla né dei numeri delle organizzazioni clandestine cecene, né del livello di appoggio ad esse della popolazione. La dura censura sull’informazione e il troppo alto livello di paura che notano letteralmente tutti gli osservatori non permettono di giudicare il reale stato delle cose in Cecenia. Secondo il direttore del PC Memorial Oleg Orlov, si può giudicare solo da segni indiretti, per esempio dal grado di intensità della reazione antiterroristica delle autorità cecene all’attività delle organizzazioni clandestine.

“Nel 2007, quando al potere in Cecenia è giunto Ramzan Kadyrov, la statistica di omicidi, sequestri di persona e torture registrate dagli attivisti per i diritti umani era enorme, – dice Oleg Orlov. – Tuttavia i crimini erano commessi da tutti: sia dai federali, sia dagli stessi ceceni (questi ultimi si dividevano in kadyroviani, uomini di Jamadaev, di Bajsarov, dell’ORB-2 ecc. – nota dell’autrice). Nel gennaio 2007 Ramzan Kadyrov ha dato ordine ai propri reparti di cessare con i sequestri di persona. La quantità di sequestri di persona è crollata in modo fenomenale: nel 2005 – 323 sequestri di persona, nel 2006 187 e nel 2007 35 in tutto (!)”.

Al contempo Kadyrov ha iniziato un’attiva campagna pubblica per la difesa diritti umani contro l’ORB-2, al momento il più malefico reparto delle forze armate in Cecenia. In realtà la retorica in difesa dei diritti umani serviva solo allo scopo di cacciare dalla repubblica il troppo forte uomo delle forze armate di orientamento federale, il capo dell’ORB 2 Achmed Chasambekov. Nelle successive “guerre” con Movladi Bajsarov e i fratelli Jamadaev Kadyrov utilizzerà pure il “fattore difesa dei diritti umani” contro i concorrenti politici, accusandoli di ogni colpa.

L’anno scorso Kadyrov ha dichiarato che le leggi russe non si estendono ai militanti e ai loro parenti. E che con i militanti adesso si regoleranno secondo le usanze locali cecene. Cioè molto duramente. La domanda è logica: perché all’improvviso tale crudeltà durezza? L’attivista per i diritti umani Oleg Orlov afferma che dalla primavera dello scorso anno è mutata la dinamica (nel senso che si è espansa) delle perdite tra i kadyroviani a causa dei militanti. Al contempo diverse fonti hanno preso a registrare una significativa crescita dei membri delle organizzazioni clandestine a spese della gioventù della Cecenia. Cioè, come dice Tat’jana Lokšina, “è diventato chiaro che Kadyrov non è riuscito ad avere la meglio sulle organizzazioni clandestine”. Di qui le azioni sempre più radicali delle autorità cecene. Ecco la statistica dei sequestri di persona: se nel 2008 agli attivisti per i diritti umani erano noti 42 casi, già a meta del 2009 è stata registrata la scomparsa di 73 persone. Ci sono tutti I motivi per supporre che questi sequestri di persona siano il risultato della lotta contro i militanti. Queste cifre finora sono la più convincente testimonianza di una nuova tendenza: le organizzazioni clandestine in Cecenia riprendono forza.

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