Formazione
Ecco perché la finanza di impatto deve puntare sulla scuola
Recuperare i drop out? In Cometa vale 650mila euro di risparmi per lo Stato. Il Politecnico di Milano ha fatto una valutazione dell'impatto sociale del modello formativo di Cometa. Un punto di partenza decisivo per affrontare il tema della scalabilità. Per Mario Calderini «l’educazione è la sfida dei prossimi anni. In Italia ci sono grandissimi capitali privati, che su base filantropica non si muoverebbero ma che può essere ingaggiata con modelli di impresa sociale che mixino un impatto misurabile e un piccolo rendimento economico»
Si può misurare l’impatto di una scuola? Si può fare una quantificazione dei risultati che uno specifico modello di fare scuola ha prodotto, che non sarebbero stati raggiunti diversamente? Certo che sì. Una fra le prime realtà a cimentarsi con la sfida è stata Cometa, che dal 2003 a Como ha creato una proposta che coniuga il percorso educativo con l’apprendimento di strumenti di formazione tecnica e di inserimento nel mondo del lavoro.
Non si tratta di un’alternanza scuola-lavoro ante litteram, di affiancare le conoscenze acquisite sui banchi con un’esperienza pratica: è di un modello differente, di integrazione profonda fra scuola e lavoro. Cometa è una scuola-impresa, dove l’apprendimento delle competenze avviene “in assetto lavorativo”. Il mondo del lavoro cioè entra in Cometa: i ragazzi imparano facendo, misurandosi con clienti veri. Ci sono un bar e un ristorante interno (rispettivamente con 32mila e 8mila clienti l’anno), in cui gli allievi lavorano per due giorni la settimana, al fianco dei maestri-docenti e aziende del calibro di Bershka e Borsa Italiana che commissionano a Cometa dei prodotti originali, come una maglietta o un paravento, su cui i ragazzi si misurano per l’intero anno scolastico, dalla progettazione alla produzione. Qui si formano 400 ragazzi l’anno e una cinquantina di essi arriva qui in dispersione scolastica.
Nel 2016 il centro Tiresia del Politecnico di Milano ha messo sotto la lente Cometa, per misurare l’impatto sociale del suo modello formativo. A snocciolare qualche risultato è Mario Calderini, professore di Social Innovation al Politecnico e vice Direttore dell’Alta Scuola Politecnica, nonché membro e delegato italiano della Task Force del G8 per la Social Impact Finance: «il 95% di di è passato qui riconosce un aumento delle proprie competenze, il 94% di chi viene da un’esperienza di drop out è stato recuperato e ha completato il percorso, il 90% precedentemente in dispersione scolastica ha frequentato tutto l’anno scolastico. Dal 2012 ad oggi il 60% degli studenti di Cometa ha trovato un lavoro stabile, un valore dell’8% più alto rispetto alla media dei professionali in Italia e ha un reddito medio di 900 euro al mese, che significa per alcuni una “quasi indipendenza” economica dalla famiglia. Il valore economico diretto generato è di 2 milioni di euro nel 2015». E ancora: il 18% degli ex studenti occupati ha trovato lavoro nell’impresa in cui ha fatto lo stage, il 70% ha un lavoro coerente con il percorso di studi fatto (si sale all’84% nel caso della ristorazione) e più del 93% degli studenti afferma di «essere cresciuto professionalmente» durante la scuola.
Per quanto riguarda la misurazione economica, un dato parla per tutti: «Ogni anno Cometa forma circa 50 studenti, che precedentemente erano in dispersione scolastica. Gli studenti non più in dispersione generano un risparmio di 650mila euro anno per la spesa pubblica», continua Calderini. Un dato impressionante, se si pensa che la dispersione scolastica in Italia per quanto in via di miglioramento si attesta ancora al 14,7% (il dato viene dritto dalla ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, audita nei giorni scorsi nell’ambito dell’inchiesta parlamentare sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, «Le scuole di periferia devono diventare avanguardie di innovazione didattica», ha affermato la ministra), ancora lontano dall’obiettivo (già mancato una volta) di portarla sotto il 10% entro il 2020.
«Sono risultati molto significativi, ottenuti con una metodologia molto solida», commenta Calderini, «che ci danno due messaggi: il primo è che queste esperienze hanno anche una ricaduta economica, tangibili e certificabili. Su questi si stanno cominciando a fare ragionamenti di reingegnerizzazione della spesa pubblica. Su scala sistemica 650mila euro sono pochi, ma la scalabilità è la prossima sfida che abbiamo. Queste due cose si saldano in cerchio: da un lato risparmio di spesa pubblica e dall’altro si può ragionare su una finanza di impatto che facendo leva sul risparmio pubblico aiuti la scalabilità. Questo può portare a valori che abbiano senso anche su scala di politiche pubbliche».
Un’esperienza come Cometa infatti, ammette Calderini, «per certi versi è unica e irripetibile, nel senso che la sua natura davvero straordinaria è molto legata alla storia e alle persone. Però ci sono elementi di ripetibilità. Il primo è che abbiamo bisogno di grandi “dimostratori di realtà”, di grandi esempi che dicano che “si può fare”, ognuno con le proprie specificità. Alcuni aspetti di Cometa, ad esempio le modalità di scuola lavoro sono replicabili, oppure come gestiscono il rapporto con i docenti… sono elementi che possono incastrarsi anche in altri modelli». Per il professor Calderini scalabilità non significa tanto arrivare a un numero di beneficiari enorme, ma contagiare. E soprattutto «maturare la capacità di attirare a sé nuovi strumenti finanziari. Sono molto convinto – anche a valle del decreto sull’impresa sociale – che esiste un mondo finanziario attento al sociale, in Italia in particolare c’è una grossa quota di risparmio privato che non si muove con la sola filantropia ma che può essere ingaggiata con successo sul sociale con strumenti che mixino un impatto sociale misurabile e un piccolo rendimento economico».
Ci sono i social impact bond (una novantina quelli lanciati nel mondo, fra cui uno di particolare successo in Australia, legato proprio all’educazione), ma anche altri strumenti. «Quello che sottolineo è il fatto che si crei intenzionalmente impatto sociale, perché l’intenzionalità è un elemento importante per la scalabilità», precisa Calderini: «Spesso infatti viene fatta l’obiezione qualunque cosa fatta bene crea un impatto sociale positivo, però per pensare alla scalabilità si deve partire da una misurazione di impatto. L’educazione è la sfida davvero dei prossimi anni, finalmente c’è la consapevolezza che l’educazione è l’unica vera arma per rimanere a galla nei mercati, oggi è impossibile non riconoscere che questo è l’ingrediente più correlato alla crescita. Quindi, come trovare risorse? In Italia ci sono grandissimi capitali privati, una finanza ibrida potrebbe reclutare alla causa dell’educazione capitali che su base filantropica non si muoverebbero ma si muoverebbe se, con modelli di impresa sociale legata all’educazione, fosse possibile riportare a casa un po’ del capitale».
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