E’
di nuovo polemica, in Gran Bretagna, sui
Chuggers, i
dialogatori delle Ong che fanno
fundraising in strada, invitando i passanti a diventare donatori. Questa volta la questione è sollevata dal
Guardian che mette sotto accusa la modalità di comunicazione utilizzata dai dialogatori, colpevoli, secondo il quotidiano britannico, di essere poco creativi e di fare leva sul
senso di colpa. “Quando si fa
fundraising bisogna stare attenti alle emozioni che si innescano nelle persone che approcciamo”, scrive
Indre Edland-Gryt, autore dell’articolo e responsabile della comunicazione per un Ong norvegese, “mostrare per l’ennesima volta le condizioni di disagio estremo in cui vivono le comunità locali, non spingerà le persone ad interessarsene di più, tutt’altro: molto probabilmente servirà solo a farle sentire peggio."
E’ proprio il senso di colpa infatti, la reazione più comune che i dialogatori sembrano ottenere dalle persone. Ad affermarlo anche
PFRA, la
Public Fundraising Regulatory Association, l’
osservatorio britannico sul fundraising secondo cui, effettivamente, il solo fatto di chiedere una
donazione per migliorare condizioni di vita altrui, presuppone che, chi viene avvicinato, si senta in dovere di contribuire alla causa e in colpa nel caso decida di rifiutarsi. “La decisione di sostenere una campagna non deve essere istillata da sentimento negativo, come il disagio,” ” spiega Edland-Gryt, “perché se quello è ciò che spinge le persone a donare, allora sarà molto probabile che smetteranno, non appena sentiranno di aver fatto il proprio dovere”.
La PFRA in una recente ricerca ha studiato proprio questo fenomeno. Il
fundraising Face to Face sembra essere la modalità più redditizia e più efficace di
reclutamento di nuovi donatori eppure, il
50% delle persone che viene convinta ad offrire il proprio supporto ad una charity da un dialogatore smette di donare entro un anno . “Essere avvicinati da un dialogatore provoca un rilascio di
adrenalina ma non è l’adrenalina che dobbiamo stimolare se vogliamo spingere le persone a donare.” Scrive Gryt, “Ciò di cui abbiamo bisogno sono le
endorfine. Quando ridiamo e quando la nostra curiosità viene stimolata. Il rilascio di endorfine aiuta a rilassarci e ad abbassare le nostre difese personali . Lo
humor e la
curiosità creativa inoltre aiutano le persone ad essere proattive e a decidere di donare in modo molto più consapevole.” Secondo Gryt al
fundraising dovrebbe essere applicata la
Fun Theory, la teoria del divertimento, studiata recentemente da una ricerca di
Wolkswagen secondo cui, rendere qualcosa divertente è il modo più semplice per
cambiare il comportamento delle persone in modo positivo. Tra gli esempi virtuosi di questa teoria vi sono le
scale a pianoforte realizzate in una stazione svedese, un modo originale per incoraggiare i pendolari a fare un po’ di movimento, utilizzando le scale invece delle scale mobili, che si sono praticamente svuotate: il
66% delle persone ha infatti le ha abbandonate preferendo i gradini musicali.
L’Ong statunitense
Mama Hope ha seguito la stessa teoria con la campagna
“Stop the pity”, stop alla pietà, utilizzando una
strategia di fundraising basata sul
divertimento e la
dignità: un successo straordinario per la raccolta fondi dell’organizzazione che lavora in Africa, raccontato da
i principali media americani, per la capacità di scardinare la
visione stereotipata di un continente.
“La teoria del divertimento può essere adottata in diverse fasi delle attività non-profit, dalle campagne di sensibilizzazione al fundraising vero e proprio,” afferma Gryt, “La logica è semplice, se siamo intelligenti, non avremo bisogno di dare la caccia alle persone per strada. “
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