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«Ecco perché ho messo i miei figli sul gommone»
«Sono arrivata in Italia un anno e mezzo fa. Non sono, siamo. Ho due figli di sei e quattro anni, anche mio marito è qui con noi», racconta Change, 22 anni. «Chi vuole morire in mare? Nessuno vuole morire in mare. Ma a volte nella vita non abbiamo scelta. I miei figli qui vanno a scuola. Mangiano. Nessuno verrà a cercarli per ucciderli. I miei figli sono vivi, ma mi fa male sapere come li ho traumatizzati. Ma che dovevo fare? Ditemi che dovevo fare per vivere e farli vivere»
di Anna Spena
Ce le ricordiamo bene le parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a poche ore della tragedia che si è consumata sulla spiaggia di Cutro. “La disperazione”, aveva detto il ministro, “non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. Ma sulle scelte di un padre e di una madre che rischiano le vita dei propri figli per portarli in salvo non possiamo sapere niente. Così lo abbiamo chiesto a chi questa scelta, drammatica e difficile, è stata costretta a prenderla.
Change, 22 anni
«Sono arrivata in Italia un anno e mezzo fa. Non sono, siamo. Ho due figli di sei e quattro anni, anche mio marito è qui con noi. Siamo partiti dal Congo, abbiamo attraversato tanti Paesi, troppi. Dopo l’Algeria siamo arrivati in Tunisia. Dalla Tunisia abbiamo preso la barca per l’Italia, siamo arrivati a Lampedusa. Non abbiamo avuto altra scelta. Se fossimo rimasti in Congo avrebbero ucciso mio marito. Se non trovavano mio marito uccidevano me, se non trovavano me avrebbero cercato i miei bambini. Che dovevamo fare? Ditemi che dovevamo fare per vivere».
L’Italia non era la destinazione finale. «Potevamo stare in Tunisia. Saremmo stati in Tunisia. Ma non ci volevano. Hanno fatto cose a noi, a me, ai bambini che non si possono raccontare. Così poi siamo saliti di un gommone». La traversata nel Mediterraneo Centrale è costata 1200 euro a testa. «Li abbiamo dati al trafficate, abbiamo lavorato tanto per quei soldi. Sul gommone c'erano più di cento persone. I bambini vomitano tutti, i miei e quelli delle altre mamme. Siamo stati 24 ore in mare. Pregavo. Pregavo di non far morire i miei figli. È stato un viaggio con la morte. Chi vuole morire in mare? Nessuno vuole morire in mare. Ma a volte nella vita non abbiamo scelta. Nel viaggio siamo caduti in acqua, ma eravamo vicini alla riva. Ci siamo aggrappati a una montagna grande in mezzo all’acqua». Uno scoglio, Change si è aggrappata a uno scoglio con i figli addosso.
«I miei figli qui vanno a scuola. Mangiano. Nessuno li verrà a cercare per ucciderli. Io miei figli qui fanno terapia perchè si ricordano tutto. Della Tunisia, del mare, del viaggio, delle ore in acqua, della barca della guardia costiera che poi ci ha salvato. Mi fa male, i miei figli sono vivi ma mi fa male sapere come li ho traumatizzati».
E ancora. «Che dovevamo fare? Ditemi che dovevamo fare per vivere. Non credevo che saremmo arrivati in Italia. Non ho mai voluto mettere i miei figli in percolo. Li ho slavati ma comunque gli ho fatto male». Change studia per diventare mediatrice culturale. «Chi arriva ha bisogno di aiuto. Il mondo va male e tanti arrivano quindi tanti hanno bisogno di aiuto. Voglio diventare mediatrice così quando arrivano posso dire alle mamme “sei stata brava, fortissima, in gamba. Sei un leone". A me mi piacerebbe dire alle persone che hanno attraversato il mare che sono leoni. Volevo che qualcuno lo dicesse a me, invece io sentivo solo dolore e colpa». Change, suo marito e i bambini hanno ottenuto la protezione internazionale. «Siamo mamme brave, vero? Che doveva fare una mamma per far vivere i suoi figli?».
Change, i suoi figli e suo marito sono stati accolti dalla Rete Sai del Consorzio Sale della Terra
Credit foto agenzia Sintesi
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