Famiglia

Ecco l’economia sociale

Il Rapporto, realizzato da Cnel e Istat, è stato presentato ieri

di Maurizio Regosa

Presentato ieri, il Primo rapporto sull’economia sociale. Dimensioni e caratteristiche strutturali delle istituzioni non profit in Italia, e curato congiuntamente dal Cnel e dall’Istat. Una pubblicazione d’alto valore simbolico che riconosce e legittima il ruolo articolato del terzo settore, realizzata da un soggetto previsto dalla Costituzione come il Cnel (nella cui struttura c’è dal 2001 una delegazione di rappresentanti del non profit) e il maggior istituto di statistica nazionale.

Gruppo di famiglia
Il volume mette insieme, per la prima volta, tutti i dati disponibili relativi ai cinque soggetti non profit: associazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni, ong e associazioni di promozione sociale. Non fornisce dunque un quadro interamente nuovo (almeno in parte le rilevazioni settoriali sono da tempo note) né consente una reale comparazione, ma permette diremo così una visione sinottica e d’insieme. Dalla quale si coglie la vivacità del settore (già nel 1999 erano 221.412 le realtà non profit, con entrate per 38 miliardi di euro circa).
Cominciamo con le organizzazioni di volontariato: erano oltre 21mila alla fine del 2003 (+14,9% rispetto al 2001) con oltre 800mila volontari, 12mila dipendenti e quasi 7 milioni di utenti. La loro attività si concentra essenzialmente nell’ambito sanitario-assistenziale (il 28% si occupa di sanità; il 27,8% di assistenza sociale) ma sono in crescita i settori legati alla ricreazione e alla cultura, all’ambiente e alla protezione civile.
Incremento a due cifre anche per le cooperative sociali: erano 7363 alla fine del 2005 (+19,5% rispetto al 2003), 6 su 10 sono di tipo A (dunque erogano servizi socio-sanitari ed educativi) e complessivamente sviluppano un fatturato di oltre 6,3 miliardi di euro. Ancor più competitive le possibilità occupazionali delle cooperative: in due anni il personale impiegato ha segnato un più 26,2%.
Sempre alla fine del 2005, le fondazioni erano 4.720 ed è interessante sottolineare che, rispetto alla precedente rilevazione (effettuata nel 1999) c’è stato un incremento del 57%. Il personale impiegato raggiunge quota 106mila, le entrate svettano a circa 16 miliardi di euro (mentre le uscite si attestano sugli 11,5 miliardi).
Più recenti i dati che riguardano le ong e le associazioni di promozione sociale (aps). Le prime erano 239 alla fine del 2007 (con 27mila addetti, di cui 12mila e 500 volontari e entrate per un miliardo di euro). Quanto alle aps, sempre alla fine dello scorso anno, erano 141 con un ammontare di entrate pari a 600 milioni di euro e circa 50mila addetti (18mila religiosi, 13mila volontari e 8mila dipendenti).

Ed è economia
In tempi di crisi strisciante, non sono incrementi da poco (mediamente fra il 15 e il 20%). Lo hanno affermato un po’ tutti i relatori della conferenza di presentazione del Rapporto: dal presidente del Cnel, Antonio Marzano, a Stefano Zamagni, che è a capo dell’Agenzia per le onlus. Una sottolineatura che, unitamente al titolo del volume dedicato all’economia sociale, fa riflettere. Sarà per l’inaffidabilità del mercato. Sarà perché i tempi sono maturi ma ormai si tende sempre meno a ipotizzare l’esistenza dell’economia da una parte, e del suo corrispettivo “buonista” dall’altra, cioè il sociale. Il non profit italiano, ha puntualizzato Zamagni, «ha la particolarità, rispetto ad esempio alle esperienze americane, di essere al tempo stesso redistributivo e produttivo».
Certo è pluralistico o secondo un altro punto di vista frammentato (ma come stupirsene, nella patria delle migliaia di centinaia piccole e medie imprese?), probabilmente ha bisogno di armonizzazione normativa (i diversi soggetti sono stati regolati nel tempo da leggi differenti e specifiche: è forse tempo di disegnare un più compiuto quadro d’insieme), ma non vi è dubbio che sia uno di comparti più vitali del paese, abbastanza autonomo (anche a livello di finanziamenti, che provengono nell’87% dei casi da fonti private, essendosi ridotta la quota pubblica anche per le cooperative sociali). Ma soprattutto non vi è dubbio che il Terzo settore sia sempre più chiaramente un segmento economico. Qualcuno la riterrà una deriva. Altri preferiranno valorizzare le buone scelte praticabili in virtù della componente economica.

Verso il censimento
Una puntualizzazione non inutile, nel paese in cui gli amministratori locali pensano al non profit per lo più in modo strumentale (vero professor Fiorentini? Aveva proposto che le municipalizzate diventassero imprese sociali miste: la legge lo consentirebbe, ma ancora non sembra esserci la necessaria volontà politica). Una puntualizzazione che proviene da due soggetti “nobili” come il Cnel e l’Istat, che con questa “mossa” di fatto hanno rafforzato la strada già intrapresa dall’Istat (anche in collaborazione con l’Agenzia per le onlus, con cui si è lavorato per affinare gli strumenti di rilevamento) che porterà al censimento del non profit entro il 2009. Prendere atto della complessità di questa realtà, con dati aggiornati e il più possibile analitici, consentirà una ulteriore legittimazione e magari farà riprendere quota alla discussione sul contributo che il Terzo settore potrà continuare a dare a un Welfare in continua trasformazione ma sempre a rischio di inadeguatezza.

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