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Ecco le proposte sulle adozioni

I contributi di Ciai e AiBi alla Conferenza della Famiglia, che ieri hanno partecipato ai lavori del gruppo dedicato

di Benedetta Verrini

Snellimento delle procedure, de-giurisdizionalizzazione dei decreti d’idoneità, maggior attenzione a scuola e post adozione: due storici enti autorizzati presenti alla Conferenza sulla Famiglia di Milano, AiBi e Ciai, hanno presentato le rispettive proposte per migliorare le procedure e il sistema-adozione in Italia.

“Quando si parla di famiglie ci sono anche quelle adottive e se parliamo di adozione internazionale, bisogna prendere atto che ci si trova sempre più spesso a contatto con situazioni non facili – dice Graziella Teti, responsabile CIAI per le adozioni internazionali  –; per questo chiediamo una maggiore consapevolezza sulle difficoltà del percorso adottivo e aiuti concreti per supportare le famiglie adottive, anche attraverso il sostegno agli enti autorizzati che svolgono una parte complessa dell’iter e spesso rimangono l’unico punto di riferimento nel post adozione”.

I bambini adottati all’estero arrivano in Italia spesso in età scolare  – nel 2009 oltre il 45% era nella fascia 5-9 anni e oltre il 13% con più di 10 anni – e con bisogni definiti all’arrivo ‘particolari’ o ‘speciali’ (nel 2009 in totale il 14,2%).  Molti sono i pericoli che posso derivare da inserimenti familiari ‘forzati’ e non adeguatamente sostenuti.
La scuola italiana non pare ancora riconoscere le specificità dei bambini adottati o in affidamento, assimilandoli ai bambini immigrati, con i quali hanno in comune i tratti somatici e, se appena arrivati in Italia, il fatto di non parlare correttamente la lingua, ma esigenze completamente diverse.
Per questi bambini – spesso con ritardi psicomotori legati all’abbandono e ai molti anni di istituto – non occorrono interventi di sostegno ma percorsi di inserimento scolastico studiati appositamente. Ha detto Paola Crestani, vicepresidente CIAI:  “E’ inutile classificare questi bambini come portatori di handicap e quindi bisognosi di insegnanti di sostegno, che invece dovrebbero essere utilizzati bene per quei bambini che ne hanno bisogno. Basterebbe consentire loro di iniziare la scuola quando sono veramente pronti a farlo o inserirli in una classe inferiore a quella corrispondente alla loro età anagrafica;  ancora, se sono arrivati in età prescolare, consentire di rimanere più tempo alla scuola materna”.

Decreti d’idoneità in grave calo

Partendo dai dati dell’ultimo rapporto della CAI, e in particolare dal grave calo dei decreti di idoneità rilasciati dai tribunali per i minorenni (6 .237 nel 2006 a fronte dei circa 5mila nel 2009), che lasciano presagire una futura “crisi delle adozioni internazionali”, Ai.Bi. ha lanciato un appello.

Ecco le proposte concrete dell’ente per l’avvio di un nuovo decennio dell’adozione di minori stranieri per superare l’attuale evidente sfiducia nelle adozioni internazionali:

1. il rafforzamento della collaborazione fra Commissione per le Adozioni Internazionali, Tribunali per i Minorenni, Servizi sociali locali ed enti autorizzati al fine di creare un vero sistema di gestione dell’adozione internazionale;

2. l’avvio dei protocolli operativi in materia in tutte le regioni con obbligo di formazione e sostegno post-adozione obbligatorio per tutte le famiglie adottive;

3. la promozione della totale gratuità dell’adozione internazionale al fine di garantire l’effettiva ’uguaglianza tra le due forme di genitorialità, naturale e adottiva;

 4. la de-giurisdizionalizzazione dei decreti di idoneità alle adozioni (cioè il passaggio ad una idoneità dichiarata a livello amministrativo, come avviene in quasi tutti i paesi europei), perché occorre snellire il procedimento laddove possibile e perché la qualità della formazione può e deve essere garantita per altre vie;

 5. l’inserimento capillare delle adozioni in azioni e progetti di cooperazione allo sviluppo, perché tutte le azioni promosse dall’Italia all’estero avvengano con garanzia del principio di sussidiarietà. Lo stato italiano e gli enti autorizzati devono svolgere nei paesi esteri in cui adottano progetti di cooperazione allo sviluppo per garantire ai minori il rientro in famiglia o l’adozione nazionale laddove possibile;

6. occorre una riforma della fisionomia degli enti autorizzati. Attualmente si tratta di realtà in numero eccessivo e troppo differenti tra loro e di varie misure e organizzazioni: non tutti hanno sede nel paese estero in cui operano, con conseguente impossibilità di svolgere azioni di cooperazione allo sviluppo. Parallelamente in Italia gli enti devono essere presenti nel territorio nazionale per garantire l’accompagnamento delle famiglie adottive anche nel periodo post-adottivo.

L’obiettivo è quello di giungere ad avere un numero sempre maggiore di famiglie accoglienti e la parità fra genitorialità naturale e genitorialità adottiva in uno scenario in cui le cifre sull’abbandono aumentano: gli ultimi dati UNICEF parlano di 163 milioni di minori senza famiglia e la stessa UNICEF ha di recente diffuso un rapporto sull’adozione internazionale riconosciuta come importante mezzo per garantire il diritto dei minori a vivere in famiglia.

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