Leggi
Ecco il sindacato atipico
In Italia sono quasi due milioni, in maggioranza donne, giovani e laureate. Non sono lavoratori dipendenti, né autonomi
Èdonna il lavoratore atipico per eccellenza: giovane (33 anni), single (66 per cento), laureata (48,6) e vive in famiglia (42,3). Ha discrete conoscenze informatiche (42,9 per cento) e di solito dispone anche di un personal computer (84,3). E ora ha anche un sindacato in più per la tutela del suo lavoro. La nuova organizzazione nasce per iniziativa della Cisl in collaborazione con i Centri di solidarietà, gli sportelli domanda-offerta di lavoro della Compagnia delle opere, e con il Clacs, il Coordinamento dei lavoratori autonomi nel commercio e nei servizi. Tre realtà diverse, ma tutte preoccupate del problema lavoro. E così è nato l?Alai, il secondo sindacato (dopo quello Cgil) per i lavoratori atipici. Il suo nome è ?Associazione dei lavoratori atipici e interinali?, ufficialmente operativa dal 16 giugno. Un?associazione che nasce per tutelare quei lavoratori che non hanno alle spalle un datore di lavoro che si occupa della loro previdenza.
La carica del Terzo Stato
Ma chi è, dunque, questo lavoratore atipico, il ?collaboratore? per eccellenza? La sua carte di identità dice che lavora nell?area della ricerca o della consulenza (30 per cento), a servizio di imprese (42,9). Il suo contratto è quello della collaborazione coordinata continuativa (51,4 per cento) che può durare da 6 mesi a un anno (57,6). Collabora con vincoli di orario (44,3 per cento), raggiungendo una media di 6 ore al giorno per 4 giorni la settimana. E ancora: percepisce un reddito netto mensile di 1.625 mila lire, anche se l?erogazione del compenso avviene a scadenze periodiche. Non gode però di ferie, permessi, indennità di malattia o maternità. Ancora: è soddisfatto del suo lavoro, ma se potesse cambiare sceglierebbe un lavoro di tipo subordinato.
Questo in poche righe l?identikit di quello che viene ormai definito il ?lavoratore atipico?. Lo ha tracciato, per conto della Cisl, l?Istituto di ricerca Cerit su un campione di lavoratori ?parasubordinati? a Milano. Dalla ricerca è emerso che nella capitale economica del Paese, la realtà del lavoro si sta modificando verso queste forme del tutto nuove. Tra il lavoratore dipendente e l?autonomo, infatti, esiste una sorta di ?Terzo Stato?, una fascia di persone che, pur svolgendo mansioni diverse, presenta la stesse caratteristiche di ?atipicità?.
Qualcuno lo ha definito il ?popolo del 10 per cento?, per il fatto che questi lavoratori versano tale quota del reddito nelle casse dell?Inps e degli istituti previdenziali. Sono più di un milione in Italia a cui vanno aggiunti almeno 866 mila collaboratori (tra cui 144 mila solo a Milano). In Italia, secondo gli ultimi dati forniti dal Censis nel ?97, la maggior parte dei parasubordinati risiede al Nord (37 per cento), e si tratta di diplomati (54,5) tra i 30 e 39 anni (31) attivi nel terziario avanzato. Al Nord troviamo gli ?ultraquarantenni?, generalmente liberi professionisti, ?atipici? per scelta, e al Sud, i laureati al primo impiego. Per quanto riguarda le retribuzioni, al Sud si arriva fino a un milione al mese, mentre al Nord si superano mediamente i 3 milioni.
Sono tutti impegnati nei servizi: si passa dai tecnici ai consulenti, ma anche dai venditori agli insegnanti di ginnastica, o ai camionisti. Una buona parte di essi, inoltre, rientra nei cosiddetti ?lavori della conoscenza? e sono quindi contraddistinti da un forte bisogno di formazione e riqualificazione. Liberi professionisti a parte, il lavoro ?atipico? è spesso caratterizzato da grande precarietà e da una pressoché totale mancanza di tutele e in molti casi in soggetti ai capricci delle imprese. Esempi lampanti sono i casi di cameriere, donne delle pulizie, segretarie, lavoratori tecnico-manuali di ogni tipo che operano con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con partita Iva, pur essendo di fatto sottoposti tout-court al vincolo di subordinazione da parte del datore di lavoro, ma senza godere della benché minima tutela in caso di malattia, maternità, previdenza e assistenza. Insomma, un lavoratore estremamente bisognoso di essere di sicurezza sociale e previdenziale. Proprio per questo motivo anche i sindacati hanno iniziato ad accorgersi della nuova realtà. E così, dopo la Cgil con la ?Federazione dei nuovi lavori?, dopo gli accordi tra la Confindustria e i tre sindacati confederali che hanno condotto al contratto nazionale, si è mossa anche la Cisl.
In attesa del nuovo statuto
Il neosindacato è ora atteso alla prova e le speranze sono tante. «L?Alai», afferma Elda Sartirana, responsabile del progetto milanese, «è una risposta associativa a un bisogno forte; e questo è proprio il ruolo del nuovo sindacato. Alai nasce per dare riconoscimento a questi lavoratori». E anche Graziano Treré (Cisl), intervenuto alla conferenza di presentazione, dichiara senza dubbi che «la sua chiave vincente è proprio la forza contrattuale». Intanto entro quest?estate è atteso lo statuto dei nuovi lavoratori proprio da parte del ministero del Lavoro. Sarebbe un bel passo in avanti, almeno per la tutela legale. E allora, forse, questa categoria di lavoratori, ancora sommersa, non sarà più considerata ?atipica?.
Per saperne di più: Alai-Elda Sartirana, Cisl, Unione di Milano, tel. 02/2046241.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.