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Ecco il progetto di riforma del Pd

Immigrazione. Primo firmatario Luigi Bobba

di Maurizio Regosa

Affiancare al permesso di soggiorno per ragioni lavoro, una carta (della durata di un anno) che consenta di stare in Italia per cercarlo un impiego. «Non per aprire le frontiere», spiega l’onorevole Luigi Bobba, primo firmatario del progetto di legge presentato in una conferenza stampa (presenti altri proponenti: Cesare Damiano, Franco Narducci, Savino Pezzotta, Paola Binetti, Jean Leonard Touadi), «ma per affrontare in modo normale e al di là dell’emergenza il fenomeno migratorio». In effetti il progetto di legge (che sarà presentato come emendamento al Ddl sicurezza che è al vaglio delle Camere) prevede che un cittadino extracomunitario possa, dando precise garanzie, legalmente entrare nel nostro paese con un permesso di lavoro specifico (evitando così che entri come turista e poi si inabissi nella clandestinità). Avrebbe così a disposizione un periodo definito di tempo per trovare un impiego del tutto regolarmente e in caso di successo otterrebbe la stabilizzazione come soggiornante per lavoro; viceversa nel caso in cui non trovasse lavoro dovrebbe rimpatriare. Tale visto di ingresso per ricerca di lavoro sarà rilasciato se l’aspirante lavoratore straniero potrà soddisfare alcune condizioni, fra cui una idonea sistemazione alloggiativa, risorse  sufficienti a coprire le spese per l’eventuale rimpatrio; mezzi di sostentamento (in misura mensile non inferiore al corrispettivo dell’assegno sociale). Inoltre dovrà disporre della somma necessaria per il pagamento del contributo previsto per l’iscrizione al Ssn. In tal modo, come ha sottolineato anche Savino Pezzotta, il fenomeno migratorio (che non è destinato a scomparire)   diviene «un fatto normale, governato nonostante la sua complessità e sottratto alla logica dell’emergenza». Abbiamo intervistato il primo firmatario del progetto di legge, Luigi Bobba.


Onorevole Bobba, voi proponete di superare una prassi di inclusione che passa attraverso la clandestinità, iniettando una logica di legalità.
Luigi Bobba: La filosofia è esattamente questa. La realtà si incarica di smentire le leggi e le procedure amministrative, noi vorremmo che leggi e procedure fossero in qualche modo al servizio della realtà. Ovvero lavorare per non avere, o ridurre al minimo, la clandestinità e l’illegalità. Il che un lato potrebbe ridurre il rischio delinquenza, dall’altro consentirebbe di tutelare meglio le persone. Che quando sono in una condizione di sfavore vedono i loro diritti sicuramente conculcati. Può essere un duplice vantaggio: per la società ospitante e per il cittadino extracomunitario che viene a lavorare nel nostro paese.


Con questa proposta si riconosce il diritto a perseguire una vita migliore…
Bobba: Certo. Si riconosce il diritto a cercare un lavoro. Il migrante ha a disposizione  un preciso arco temporale, deve dare delle garanzie. Quindi non è una falla per far passare qualsiasi cosa, ma un modo per tentare di riavvicinare domanda e offerta di lavoro. Questo meccanismo è essenziale, ad esempio, per tutto il lavoro di cura e assistenza. Evidentemente uno non si porta a casa un badante  che non ha mai visto in faccia. Penso ai risultati di una ricerca delle Acli secondo la quale i lavoratori migranti che si occupano di cura e assistenza, per i due terzi, hanno alle spalle esperienza di clandestinità.


Le Acli hanno contribuito alla stesura del progetto di legge?

Bobba: Il contributo delle Acli è stato determinante. La loro è un’esperienza sul campo che ha fornito osservazioni mirate, dalle quali siamo partiti per elaborare una norma che fosse in grado di affrontare questo tema.


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