Volontariato

Ecco a voi lo Zambia Utopia d’africa

E' un paese emblematico del dramma del continente nero. Cullato da grandi speranze portate dall’Occidente e poi abbandonato a se stesso quando quelle speranze si sono rivelate fallimentari. E' lo Z

di Redazione

Ha quasi sessant?anni, Evan Zingani, capo-villaggio di un villaggio fatto da un gruppo di capanne ad est di Kariba. La sua età esatta non l?ha mai saputa – del resto l?anagrafe non è mai così precisa da queste parti – ma vecchio è vecchio, in un paese dove la stima di vita ha il poco invidiabile record di trent?anni e l?Aids si sta dando magnificamente da fare per abbassarlo ancora. Vecchio e lucido: ricorda bene quando il grande lago non c?era e lo Zambesi scorreva e usciva dagli argini e ritornava lasciando un limo amico e fertile «e potevamo coltivare, e abitavamo là, là sotto, sotto l?acqua» e indica il lago. Che un lago non è ma un gigantesco bacino artificiale creato dall? invaso della diga di Kariba che negli anni ?60 sbarrò il corso del fiume. Un lavoro che stupì il mondo e a farlo furono anche gli italiani. Una diga capace di rifornire di energia buona parte dell? Africa sub equatoriale. Guerra e rivolte e massacri e Aids permettendo. Ma non permettono. Una bella utopia quella dello Zambia, anzi una bella collezione di utopie. Prima quella di Kenneth Kaunda, il liberatore, l?uomo dell? umanesimo africano, deciso a liberare il suo popolo e a combattere l?apartheid. E la sua utopia si nutrì di speranza e della diga che doveva dare all?ex Rodhesia del Nord le ricchezze per costruire la nuova società e la nuova economia. Perse il potere 27 anni dopo, nel ?91. L?apartheid non c?era più, la ricchezza e l?umanesimo africano neppure. Dalla valle dello Zambesi sepolta dall?acqua furono portati via cinquantamila Batonga, un popolo agricolo e pacifico, ricco di storia e cultura e tradizioni. Che non si è mai ambientato tra le altre popolazioni Bantu diverse per lingua e leggi e abitudini. I Batonga non riescono a coltivare con quel fiume ora troppo irrigimentato e avaro di quel limo così importante. «Non sappiamo più cosa è male e cosa è giusto», dice Evans che parla bene perché ha studiato dai missionari italiani arrivati qui con gli operai che lavoravano alla diga, «le nostre donne si prostituiscono con i camionisti della grande strada che risale da Città del Capo tutta l? Africa e passa poco distante dal villaggio. La strada dell?Aids la chiamano. E tanti sono andati ad abitare lontano, nei terribili compound, le bidonvilles di Kafue, l?altra città costruita dal sogno dell? Utopia. L?energia elettrica doveva alimentare un gigantesco complesso industriale sul fiume Kafue, che confluisce poco più avanti con lo Zambesi in uno dei parchi naturali più belli del mondo. Di quel complesso funziona soprattutto la conceria che scarica fanghi acidi e velenosi direttamente in acqua, poco più a monte dal punto dove attinge l?acquedotto. Non è molto igienico, ma gli utopisti non sempre badano a questi dettagli. Nel compound vivono in 80.000 sperando di lavorare nella fabbrica dove ci sono meno di 1.500 posti. Compound vuol dire ammasso di lamiere, e negozi ritagliati in scatole di cartone. Soprattutto sarti, mestiere utile qui quanto un frigorifero in Alaska, e barbieri, che sarebbero più efficienti se avessero acqua pulita. E rasoi e forbici disinfettate. Ma tanto l?Aids non si vede. E del resto se non hai le fogne non puoi andar troppo per il sottile quando ti tagliano i capelli. L?energia elettrica serve soprattutto al Sud Africa. Qui resta poco soprattutto da quando il prezzo del rame, unica vera risorsa, è crollato e si spera ormai soprattutto nel turismo. Per fortuna i turisti qui nei compound non ci vengono di certo: i parchi nazionali, quelli sì, sono belli da far star male, e gli elefanti vengono al mattino a bere nella piscina del resort con i prati tagliati rasi verdi e puliti, gli inglesi lasciano sempre qualcosa, e i cottage bianchi e costruiti davvero bene, e il leone fa la sua parte ruggendo forte quando la luna si alza rossa sul fiume, e i camerieri neri, alla faccia della lotta all?apartheid, servono i ricchi con i guanti bianchi. Fallito Kaunda la seconda disastrosa utopia è stata quella del Fondo monetario internazionale: un progetto di privatizzazione che ha arricchito le multinazionali inglesi soprattutto e creato una nuova classe dirigente, per la quale i negozi di Lusaka, la capitale, qualche cosa di buono mostrano. Qualche cosa comunque inaccessibile al 95% della popolazione. Fondo monetario e Banca mondiale hanno imposto drastici tagli alla spesa pubblica e migliaia e migliaia di posti di lavoro tagliati sono semplicemente scomparsi dalle statistiche. Ma non è difficile, per nulla difficile, trovarli: «i posti di lavoro tagliati» sono lì nei compound a guardare i sarti che non hanno stoffa e i barbieri che non hanno clienti. Per essere libero, il mercato è libero. Dovunque trovi qualcuno che vende qualcosa, qualsiasi cosa. Le ragazze soprattutto se stesse. Non conviene acquistare, in cambio dei soldi si partecipa alla terza utopia: la lotteria della sopravvivenza. Questo è il vero brivido: ormai lo Zambia non distribuisce nemmeno più i test per l? Aids. Le ultime statistiche parlano di un contagio diffuso oltre il 20 % nella popolazione attiva. Ma in realtà in ogni ospedale ogni malato viene trattato come se fosse positivo. E spesso lo è. L?alternativa all? utopia che ha dilatato il debito internazionale, sradicato intere popolazioni e annichilito una generazione sotto la minaccia del virus la si incontra tra ospedali e compound: ha la faccia dei volontari delle organizzazioni di solidarietà, dei gruppi missionari che hanno più tenacia che illusioni. «Una volta volevo cambiare il mondo», sorride un sacerdote venuto qui negli anni della Grande Illusione, «e pensavo di iniziare da qui. Ora capisco che i gruppi dei villaggi che si riuniscono in banche di solidarietà, la presenza negli ospedali e negli ambulatori per formare medici e infermieri, le comunità e le cooperative di lavoro che abbiamo costruito nei compound, nelle bidonville, la fatica di istruire i giovani, possono fare qualche cosa. E qualcosa è molto di più di niente. L?importante è non pretendere nulla subito. L?importante è ricominciare ogni giorno con la dignità e l?umiltà e l?orgoglio buono di chi vuol fare fino in fondo la sua parte».


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