Formazione

E Woody stravince

Film fluido e articolato, di grandissima efficacia narrativa, Match Point è una ciliegina sulla torta dei 70 anni di Allen

di Maurizio Regosa

Match Point
di Woody Allen, Usa/Gran Bretagna
con S. Johansson e J. Rhys-Meyers

Lo possiamo lanciare un pubblico ?evviva?? Dopo una non breve serie di pellicole ripetitive, Woody Allen ha diretto con Match Point un film grande, forse grandissimo. Per ritmo, efficacia, scioltezza narrativa e soprattutto per profondità. Non quella alla moda (il cinema che guarda se stesso), ma quella vera, intessuta di dialoghi perfetti (recitati da un cast eccellente), sostenuta da una sceneggiatura serrata e da una regia al servizio di un thriller ricco di colpi di scena. Quella profondità, insomma, che non salta agli occhi ma lascia pensosi e pieni di interrogativi in parte inaspettati.

Giacché la vicenda del giovane tennista che si vuole arrampicatore e che per ?dare un contributo? sposa una ragazza che non ama ma tanto ricca, salvo poi farsi un?amante più bella e sopprattutto più passionale, avrebbe potuto essere giocata entro regole che più classiche non si può: in fondo è un leit-motiv di tanto cinema del passato, in specie americano, in particolare degli anni 50. Viceversa Allen inserisce la sua trama in un ordito che la trasforma, ne fa un trattatello complesso sull?intreccio tra la fortuna (che spesso la spunta sul merito), i rapporti fra le classi sociali (tornate in qualche modo protagoniste dopo una lunga eclissi), la passione (l?amante americana e la moglie inglese, vedi un po?), l?ipocrisia, l?affermazione di sé e il volere veramente ciò che si vuole (a ben vedere un motivo già presente nella produzione di Allen: ve lo ricordate Zelig?). Un tema, quest?ultimo, che li raggruma tutti.

Non a caso Chris (interpretato da Jonathan Rhys-Meyers) è un giocatore: sa cioè individuare la strategia che lo porta a vincere, sa perseguirla con freddezza apparente. Eppure nei suoi conti spesso qualcosa non torna. La razionalità viene meno, il distacco si trasforma in discontinua, sofferta partecipazione. Come se tra la sua non fortissima volontà e la coscienza intermittente ci fosse una lotta perenne e come se soprattutto di quest?ultima Chris fosse lucido osservatore.

Non dei comportamenti in sé e nemmeno dei desideri in quanto tali. Ciò di cui il personaggio – lettore di Delitto e castigo – si fa carico (e noi con lui, dato che il racconto svolge per lo più il suo punto di vista) è la persistenza del conflitto. Uno scontro tenace e senza esclusione di colpi che finisce col subire proprio perché dopo tutto non si butta mai veramente nella mischia. Credendo di soddisfare il suo ego, lo consuma. Allo stesso modo progettando di vincere, si ritrova – lo sguardo assente – sconfitto e senza più chance.

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