Non profit
È una domanda di radicamento. Raccogliamola
Luigi Bobba: cosa insegna questo trend
di Luigi Bobba
Un fenomeno ambivalente, che chi ha responsabilità nelle realtà associative deve cogliere. E guidare Crescita del volontariato in “divisa”? L’inchiesta di Vita coglie un fenomeno vero, almeno al Nord. In Piemonte, dove da poco si è tenuta la Conferenza regionale del volontariato, crescono i volontari delle ambulanze e della protezione civile, cresce il volontariato di “beni comuni”, e cala del 12% il volontariato socio-assistenziale, di prossimità. Come leggere questi segnali?
Difficile dirlo, ma certo novità ce ne sono. Il boom della protezione civile è il più evidente. Frutto forse anche della “mediatizzazione” del fenomeno a seguito dell’emergenza Abruzzo. O anche della spinta di molti Comuni che promuovono gruppi di protezione civile come strumento di controllo del territorio e di ordine pubblico, non solo come risorsa per le emergenze. Forse in un tempo segnato dallo spaesamento, da una individualizzazione spinta e da sfiducia nelle istituzioni pubbliche, si creano le condizioni per lo sviluppo di forme di volontariato con un forte spirito di squadra e uno spiccato senso di appartenenza alla bandiera di cui si fa parte. È questo un volontariato molto legato al territorio, capace di far leva sul legame con la comunità locale, che restituisce un po’ dell’identità perduta.
C’è anche – i dati del Piemonte lo insegnano – una certa ripresa di volontariato tra i giovani, più presenti proprio in queste nuove forme dell’azione volontaria. Un fenomeno ambivalente, forse una risposta a una comunità impaurita e al prevalere di spinte narcisistiche più che oblative. Ma anche l’affacciarsi di nuove disponibilità all’impegno volontario, di sviluppo del senso di appartenenza alla propria comunità, di risposta a bisogni identitari che altrimenti prenderebbero le strade di un localismo asfittico e rancoroso. Chi oggi ha responsabilità nelle realtà associative e di volontariato non può non prestare orecchio a questi segnali, pur contraddittori, e cercare di perseguire tre strade.
Primo, far maturare, attraverso la formazione, una propensione al dono anche là dove inizialmente le motivazioni erano prevalentemente narcisistiche e autocentrate. Secondo, non spegnere la voglia di radicamento comunitario come anticorpo alle derive xenofobe di un localismo incolto. Terzo, far nascere “vocazioni” all’azione volontaria anche nei territori del sociale più deturpati dal dominio della cultura individualista e della pura e semplice rivendicazione di diritti, nella speranza di trovare risorse ed energie per combattere il male radicale di questo tempo: la solitudine. E offrire così prossimità anche a chi non trova mani pronte a raccogliere un grido o magari solo una domanda muta e silenziosa.
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