Politica

È un duro l’uomo-africa di Obama

Chi è Johnnie Carson, neo responsabile Usa per gli affari africani

di Redazione

Chi pensava che l’afroamericano Barack fosse tenero con il Continente si sbagliava. Dal Darfur allo Zimbabwe,
da Museveni
alla Somalia, ecco cosa può cambiareL’uomo-Africa di Barack Obama ha ormai un volto. Si chiama Johnnie Carson, faccia sconosciuta all’opinione pubblica ma non a chi bazzica gli ambienti diplomatici panafricani. A conferma del fatto che il presidente degli Stati Uniti – di origine keniote – sarà due volte più intransigente nei confronti dei leader del continente, Carson ha la reputazione di essere un osso duro.
Ne sa qualcosa il presidente ugandese Yoweri Museveni, dipinto quattro anni fa dal neo vicesegretario di Stato americano con delega agli Affari africani come un politico pericoloso la cui «sete di potere e desiderio controverso di ottenere un terzo mandato rischia di rinviare l’Uganda al suo passato dittatoriale». Nel febbraio 2006, Museveni venne rieletto per la terza volta alla guida del Paese; Carson intanto aveva lasciato l’Africa e 37 anni di carriera diplomatica per raggiungere la sezione africana del Nic, il National Intelligence Council, un centro incaricato di definire le strategie di lungo respiro dei servizi di intelligence americani. Tanta esperienza ha finito per convincere Obama a nominare a fine marzo l’uomo giusto al posto giusto.
C’è da chiedersi se il vicesegretario di Stato sarà in grado di affrontare le numerose sfide che lo attendono sul continente africano. Dopo un inizio di XXI secolo all’insegna di una crescita economica vertiginosa, la crisi rischia di annientare tutti gli sforzi prodotti dai leader africani e dalla comunità internazionale per ridurre la povertà, combattere la corruzione e fermare la guerra. Un asse del male che purtroppo torna a essere protagonista e che attualmente offre in Somalia il suo volto peggiore. Il 13 aprile un membro del Congresso Usa, David Payne, è stato accolto a Mogadiscio a colpi di mortaio all’indomani dell’annuncio dei pirati somali di voler colpire qualunque obiettivo americano per vendicare il blitz con cui gli incursori della Marina avevano liberato un capitano ostaggio dei banditi e ucciso tre pirati. Oltre alla Somalia, la Casa Bianca e Carson dovranno fare i conti con l’emergenza umanitaria in Darfur e il caso al-Bashir, il presidente sudanese su cui pende un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja, peraltro mai riconosciuta dal governo statunitense.
Non solo. Il dittatore dello Zimbabwe, a cui Washington non ha risparmiato critiche, è alla guida di una nazione in balìa tra la vita e la morte; non lontano c’è il Sudafrica e le sue elezioni presidenziali che rischiano di dilaniare l’African National Congress, il partito dell’ex presidente Mandela. E poi la battaglia con la Cina, l’Europa, l’India, il Brasile e i Paesi arabi per la spartizione delle risorse naturali e minerarie del continente. Meglio fermarci qui. Altrimenti Carson potrebbe chiedere la pensione anticipata.


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