È facile pensare alle economie circolari che danno nuova vita agli scarti, oggetti che hanno chiuso il loro ciclo vitale e si rinnovano nella loro funzione.Ci stiamo giustamente e finalmente impegnando per la tutela del creato, per arginare la crisi ecologica globale in atto. Lo facciamo curando i nostri comportamenti quotidiani, pur con il grande limite dell’essere inseriti in una “valanga” di scelte politiche, economiche, culturali, sociali di segno contrario.
Rifletto da un po' di tempo sulla possibilità che i concetti dell’Economia circolare si applichino alle persone, particolarmente a quelle che l’Economia capitalistica ha posto ai margini.
I dati mondiali sulla Povertà ci indicano (World food programme) che 795 milioni di persone soffrono la fame, con una forte concentrazione nell’Africa Subsahariana. Fame non significa solo mancanza di cibo ma anche mancanza di micronutrienti. Che aumenta il rischio di contrarre malattie, riduce la produttività, impedisce un adeguato sviluppo fisico e mentale.
La povertà ha anche altre conseguenze. Come non avere la possibilità di studiare. Come non avere medicinali e strutture mediche a disposizione. Come, in sostanza, non avere diritto a una vita che possa definirsi tale.
Si aggiunga anche il fatto che enormi fette della popolazione mondiale vivono in contesti degradati e degradanti, che segnano per sempre le vite sin dall’infanzia e producono analoghe distorsioni per lo sviluppo fisico e mentale.
Nonostante questi dati e nonostante sia evidente l’iniquità dell’attuale sistema economico, sembra complicato operare in termini di circolarità e di rigenerazione se lo scarto della comunità è una persona. Il nostro è un tempo in cui la dignità e i diritti della persona vengono “monetizzati”, prescindendo dalle ragioni per cui quella persona si trova ai margini e difficilmente si indicano strade che producano un cambiamento di vita e di relazioni.
Questa “visione” di Welfare è destinata al fallimento, anzi è già fallita.
E’ insostenibile per qualsiasi economia pubblica e incrementa la cultura dello scarto invece di combatterla, la rende strutturale.
Le esperienze di prossimità, unici veri antidoti alla crisi umanitaria in corso, indicano come serva sostituire la dimensione quantitativa con quella qualitativa e solo il recupero e il coinvolgimento delle persone più fragili può far germogliare il seme della generatività.
C’è una priorità, dunque, ricostruire un sano pensiero comunitario, una nuova identità di popolo pensante, di società che esprime cultura, di comunità che si unisce per uno scopo. Il raggiungimento di questo obiettivo passa dalla capacità di connettere le persone, una capacità che si implementa con la conoscenza, una conoscenza che si implementa con la solidarietà, una solidarietà che si implementa con la prossimità.
Si tratta, in fondo, di mettere in moto il principio di Economia circolare. Un’economia pensata per potersi rigenerare da sola; un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi riducendo al massimo gli sprechi declinandolo intorno alle persone, cosi che gli «scarti» diventino «nuova umanità».
È la quarta fase del welfare, il welfare generativo che si fonda su una visione che pone la centralità del sistema sulla Persona, individuo e membro di una rete di relazioni, piuttosto che sulla semplice suddivisione per tipologia di servizi necessari per categorie omogenee.
Il "nuovo welfare" si caratterizza come sistema per l'emersione, lo sviluppo e la valorizzazione delle potenzialità di ciascuno, piuttosto che come ambito a cui è affidato il compito di alleviare i disagi delle persone in difficoltà. Per questo mettiamo al centro di ogni intervento le risorse umane che ciascuno può mettere in campo e non la tipologia di disagio di cui è portatore.
Per ogni persona, essere protagonista della costruzione della propria vita, nonché assumersi responsabilità nel contesto familiare, comunitario e sociale costituisce una cosa profondamente diversa rispetto a ricevere quanto serve per sopravvivere come “assistito”.
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