Sostenibilità

E se l’Africa ci chiede i danni?

I risultati di un report destinato alla business community

di Redazione

22 dei 28 Paesi più a rischio per l’impatto del global warming sono africani. Eppure l’Africa contribuisce in misura irrisoria all’emissione
di gas serra, con meno del 4% del totale mondiale. Ora il continente è pronto
a chiedere un maxi risarcimento. E a dare battaglia a Copenhagen
L’Africa è il continente più colpito dai cambiamenti climatici. Lo dice anche chi con i numeri (e gli investimenti) non può permettersi di sgarrare. Maplecroft, società britannica che analizza i rischi internazionali per il mondo degli affari, ha decretato che 22 dei 28 Paesi più a rischio per l’impatto del cambiamento climatico sono africani.
In vetta alla classifica c’è la Somalia, seguita nella top tre da Haiti e Afghanistan. Ad aggravare la situazione dell’ex colonia italiana sono soprattutto l’insicurezza in fatto di acqua e alimentazione, ma anche i continui conflitti e le violenze legate a scontri politici e a violazioni dei diritti umani. Se in apparenza questi aspetti sembrano slegati dal cambiamento climatico, ora bisognerà ricredersi. «Il nostro ranking non fornisce una previsione sul futuro del nostro ecosistema, ma piuttosto misura il grado di debolezza delle singole nazioni», spiega Fiona Place, coordinatrice della ricerca, «inclusa la capacità di reazione agli effetti del cambiamento da parte di governi e popolazione».
Per testarne la vulnerabilità, le 166 nazioni del ranking sono state classificate considerando diversi elementi, dall’economia alla capacità di governo, secondo un modello integrato di fonti multiple (Fondo monetario internazionale, Onu, Cia, dipartimenti delle Nazioni Unite ma anche studi interni a Maplecroft). «Quest’anno però abbiamo tenuto in considerazione alcuni nuovi fattori, in particolare la sicurezza alimentare e l’utilizzo di energie tradizionali e rinnovabili», spiega Place. «La posizione finale però è determinata dalla correlazione tra tutti gli elementi, ed è proprio sulla correlazione tra più fattori che gli Stati africani devono lavorare».
Rispetto ai risultati dell’anno precedente, le nazioni che hanno registrato un (lieve) miglioramento sono quelle che hanno dimostrato di voler introdurre nella propria agenda misure legate all’ambiente e al clima, e non solo a parole. «Ci sono stati diversi movimenti nella classifica dei top 20. La Namibia, il Sud Africa e il Botswana ora sono classificati come a medio rischio, mentre l’anno scorso erano tra le nazioni considerate ad alto rischio. Questo indica che i governi si sono mossi per contrastare e prevenire gli effetti del cambiamento climatico, a partire dall’introduzione di leggi ad hoc, come il National Climate Change Response Policy promosso dal governo sudafricano».
Non mancano però spostamenti in negativo. Oltre a nazioni stabili, come la Sierra Leone, il Burundi e il Rwanda fermi allo stato di Paesi ad estremo rischio, ci sono zone in cui la situazione è peggiorata: Guinea e Gambia sono balzati rispettivamente in sesta e ottava posizione, dall’alto all’estremo rischio. Ma tra le motivazioni che si celano dietro a questi risultati i ricercatori hanno evidenziato anche le responsabilità dei Paesi più sviluppati. «Dal nostro studio emerge che è necessario focalizzarsi di più sui problemi che riguardano l’Africa», dice Place, «a partire da investimenti che abbiano una ricaduta effettiva sulle economie locali, spingendo i leader a livello internazionale a inserire il cambiamento climatico nei propri progetti politici e di cooperazione».
I capi di governo africani hanno una posizione comune sui cambiamenti climatici, elaborata nella dichiarazione di Algeri nel novembre 2008 e ribadita a Nairobi lo scorso maggio, e a dicembre parleranno “a una sola voce” al summit di Copenhagen. L’Africa non contribuisce se non in misura irrisoria all’emissione di gas serra, con meno del 4% del totale mondiale. Subisce gli effetti di cambiamenti climatici provocati da altri ed è il continente che ha meno risorse economiche da investire per attenuarne l’impatto. A fine agosto, durante una riunione dell’Unione africana i leader del continente hanno formalizzato una richiesta di indennizzi pari a 46 miliardi di euro l’anno. E hanno minacciato di boicottare gli accordi di Copenhagen se il risarcimento non ci sarà.


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