Formazione

E se la disabilità sta dietro la cattedra?

Esistono docenti di cui nessuno mai parla, forse perché nemmeno si immagina che esistano. Sono gli insegnanti con una disabilità. Il Gruppo Donne della Uildm ha raccolto alcune storie in un libro sorprendente

di Sara De Carli

Quest’anno, complici le novità legate alla nuova legge, la scuola pare già iniziata e l’argomento scuola tiene banco anche sui giornali generalisti. L’eco più forte è stato quello della “deportazione” connessa alle nuove assunzioni di docenti. Ci sono però dei docenti che sui giornali non ci arrivano mai: i docenti con disabilità. Forse la maggior parte delle persone nemmeno immagina che esistano. Degli alunni con disabilità sappiamo molto, di loro nulla. Alcuni – tutte donne a dire il vero – di loro hanno voluto raccontarsi in un piccolo volume creato dal Gruppo Donne Uildm, “La scuola. Davanti e dietro la cattedra”, a cura di Oriana Fioccone, scaricabile gratuitamente qui. Un racconto interessante, per molti versi sorprendente, di cui diamo qui alcune “pillole”.

Mariagrazia Audenino

Ha 53 anni, è una maestra elementare, ha il Parkinson. Se ne è accorta durante una riunione a scuola, ormai vent’anni fa, perché tremava. Nove anni prima di entrare di ruolo, prima di sposarsi e di mettere al mondo il suo secondo figlio. «Con Parky c’è la difficoltà di mettersi in gioco, perché si trema e gli altri “ti guardano”. Ai bambini non è difficile far capire Parky, gli ho spiegato che è come un serpentello invisibile che mi fa tremare, gli adulti hanno più pregiudizi, pensano che starò troppo a casa, dicono di stare lontano perché chissà cosa potrebbe capitare. Al massimo a me può accadere che mentre parlo con i bambini cambio voce… Quando capita resto in silenzio, mi metto il naso rosso da clown e li faccio ridere, perché ho scoperto che ridere fa bene sia a me sia a loro».

Rahma Nur

Di origini somale, colpita dalla polio a 11 mesi, ha iniziato a insegnare nel 1993, a Pomezia, in una scuola dove non arrivavano i mezzi pubblici: andava da Roma a Pomezia in bus e poi le davano un passaggio le colleghe. Da qualche anno usa la carrozzina. «Mi diverto quando i ragazzi mi chiamano “maestra” in pubblico e la gente ci guarda come degli alieni e c’è sempre la persona curiosa che mi domanda “lei insegna ingklese, vero?”. Non solo, anche italiano e storia, rispondo io e loro mi guardano trasecolati. Gli stereotipi sono duri a morire, dopo 22 anni di servizio devo ancora giustificare il mio status di “maestra color cioccolato”».

Romina Santini

Ha 38 anni e una SMA2: non muove le braccia né le mani, non gira la testa. Insegna inglese, come supplente. L’anno scorso ha avuto il suo primo incarico annuale, tre ore alla settimana, abbastanza per capire se era in grado di gestire una classe: «Quando mi presentai la preside cercò in tutti i modi di farmi rinunciare, mi fece domande cattive, invadenti, private ma alla fine dovette accettarmi perché quel posto mi spettava. Dopo appena 10 minuti in classe, notai che i ragazzi mi ascoltavano con curiosità e attenzione. A volte la fisicità è necessaria, ma se ci si impegna a costruire un rapporto con i ragazzi sono poche le volte in cui si è costretti a richiamare l’attenzione battendo con la mano sulla cattedra. In casi estremi lo ha dovuto fare la mia assistente. Un giorno abbiamo dovuto fare la prova antincendio. La mia assistente accompagnò i ragazzi fuori e io dovetti aspettare il bidello, perché se capitasse davvero un incendio l’insegnante deve essere l’ultima a uscire. Prof, ma se scoppia un incendio lei rischia di morire, mi hanno detto i ragazzi? Che ne dice se la butto dalla finestra? Siamo al primo piano, al massimo si rompe una gamba. Sono tanti gli esempi di come i ragazzi, diversamente dagli adulti, non si fermano all’apparenza».

Michela Benedetti

Oggi insegna latino e greco nello stesso liceo classico in cui lei ha studiato. Prima della sua prima ora in classe credeva di non farcela. Farsi ascoltare da un gruppo di adolescenti, senza avere la libertà di movimento e senza poter scrivere alla lavagna. Eppure quel posto se l’era guadagnato, «non potevo non tentare». La prima volta che entra in una nuova classe funziona sempre l’effetto sorpresa: «tutti mi guardavano attentissimi, non una parola, non una battuta. I ragazzi ti mettono alla prova e vogliono fidarsi dei loro insegnanti, però ti danno una sola opportunità, una sola». Alla fine di ogni anno scolastico «sono stanchissima, ma la stanchezza passa presto. Non passa invece la stanchezza che nasce dalla fatica di lottare contro ciò che ruota attorno alla scuola e che non ha niente a che fare con la scuola».

Photo by THOMAS SAMSON/AFP/Getty Images

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