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E se fosse Aleksandr Lukashenko a mediare il cessate il fuoco fra Russia e Ucraina?

L'ipotesi non è campata per aria dopo l'intervento di pacificazione del dittatore bielorusso che ha portato nei giorni scorsi a un accordo fra Vladimir Putin e Yevgeny Prigozhin. Per l'uomo forte di Minsk sarebbe una formidabile opportunità per rientrare sulla scena internazionale dopo esserne stato escluso da anni a causa della brutalità del suo regime

di Paolo Bergamaschi

E se fosse Aleksandr Lukashenko a mediare il cessate il fuoco fra Russia e Ucraina? L'ipotesi non è campata per aria dopo l'intervento di pacificazione del dittatore bielorusso che ha portato nei giorni scorsi a un accordo fra Vladimir Putin e Yevgeny Prigozhin scongiurando un probabile bagno di sangue. D'altronde Lukashenko ci aveva già provato nel marzo dello scorso anno, nelle prime settimane dall'inizio dell'aggressione russa, quando le delegazioni russe e ucraine si erano incontrate senza successo in territorio bielorusso.

Per l'uomo forte di Minsk sarebbe una formidabile opportunità per rientrare sulla scena internazionale dopo esserne stato escluso da anni a causa della brutalità del suo regime. Sono più di 1500 i prigionieri politici in Bielorussia e la repressione non accenna a diminuire, anzi ogni giorno di fa più dura. I servizi di sicurezza non colpiscono solo i dissidenti: anche i famigliari sono vittime della loro attenzione. Trattato come un appestato, evitato dai leader europei Lukashenko si è rassegnato a incontrare gli esponenti dello stesso rango nel giro delle autocrazie che, purtroppo, abbondano a cominciare dall'inquilino del Cremlino con il quale ha stipulato un patto di ferro che include un'integrazione sempre più stretta fra i rispettivi Paesi. Ciò nonostante dietro le quinte i contatti fra Minsk e Kiev non si sono mai interrotti a tal punto che l'Ucraina non ha mai considerato come una concreta minaccia l'intervento diretto della Bielorussia nel conflitto. Conoscendo la vanagloria di Lukashenko non si sbaglia a ritenere che sia alla ricerca di un'occasione di rivincita personale che lo porti al centro dell'attenzione mondiale dopo un lungo periodo di umiliante isolamento internazionale. Quale opportunità migliore, quindi, se non quella di condurre attorno a un tavolo i due belligeranti per facilitare una tregua?

D'un tratto potrebbe acquisire quella statura di rispettabile leader globale che gli consentirebbe di cancellare la sua devastante fedina penale. E a proposito di fedine penali vale la pena leggere le biografie di Yevgeny Prigozhin e Ramzan Kadyrov, ampiamente disponibili in rete. Entrambi i personaggi figurano come i luogotenenti di Putin nonché colonne portanti della macchina bellica russa. Al primo, apparentemente caduto in disgrazia dopo la rivolta abortita, con la sua compagnia di mercenari Wagner è stato dato in appalto dal Ministero della Difesa il lavoro sporco in Siria, Libia, Mali e Repubblica Centrafricana. Da ex prigioniero (ha scontato una condanna di nove anni per rapina, frode e coinvolgimento di adolescenti nella prostituzione) ha arruolato migliaia di detenuti dalle carceri russe mandandoli al massacro sul fronte ucraino. Del secondo per presentarlo basta il soprannome che gli è stato appioppato dai media, "macellaio di Grozny" (la capitale della Cecenia di cui è capo). È stato spesso accusato di omicidi e torture nei confronti di oppositori e giornalisti. Con Putin ha siglato un patto di acciaio agendo, di fatto, in simbiosi. Le milizie di Kadyrov sono note per la ferocia in combattimento anche in Ucraina.

A questo punto sorge spontanea una domanda. Se il nostro paese confinasse con la Federazione Russa gli italiani si sentirebbero tranquilli? Se Svezia e Finlandia hanno deciso di abbandonare la tradizionale neutralità chiedendo l'ingresso nella Nato è perché sono legittimamente preoccupate della Russia di Putin avvertendone l'urgenza della minaccia. D'altronde è stato lo stesso Putin a rinnegare nel giro di pochi secondi il Memorandum di Budapest e l'Accordo di Amicizia, Cooperazione e Partenariato che garantivano all'Ucraina il rispetto dell'integrità territoriale. Secondo gli ultimi sondaggi più dell'80 % dei finlandesi sostiene l'adesione all'alleanza atlantica con una maggioranza, tuttavia, riluttante al dispiegamento di armi atomiche. Per la Finlandia basta l'articolo 5, ovvero la clausola di solidarietà tra alleati, a garantire la protezione. Nell'opinione pubblica italiana, però, prevale la volontà di disimpegnarsi dalla crisi ucraina confermando quanto sia arduo definire una politica estera comune europea degna di tale nome.

Soffriamo di un inguaribile strabismo che ci impedisce di mettere a fuoco un disegno di politica estera condivisa. Salvo poi lamentarsi dell'Ue criticandone l'incapacità di agire.

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