Mondo
E Pezzotta punta a sud
Due sedi aperte in Africa: una in Senegal e laltra in Marocco. Un programma di cooperazione che ha coinvolto 15 Paesi africani.
L?Africa è un tema politicamente scorretto. A dirlo è il segretario generale dell?unico sindacato europeo, la Cisl, che ha messo stabilmente nella propria agenda i rapporti con questo continente. Tanto da creare due sedi Anolf (l?associazione di immigrati promossa dalla Cisl) in Africa: l?ultima due settimane fa a Casablanca, in Marocco, l?altra nella capitale del Senegal, Dakar, già da due anni. «Dell?Africa si parla per le emergenze umanitarie», spiega Savino Pezzotta, «invece è una questione politica, che riguarda soprattutto l?Europa».
Ad Assisi, il convegno Il futuro dell?Africa, promosso dalla Cisl il 4 e 5 marzo, ha messo a confronto le visioni di esperti europei e africani sulle nuove forme di cooperazione possibili a partire dall?esperienza sindacale. Un?iniziativa in continuità con ItaliAfrica, la manifestazione di Roma organizzata lo scorso anno dal sindaco di Roma, Walter Veltroni e dello stesso Pezzotta, con Cgil e Uil, Forum del terzo settore, i missionari, le ong e la Comunità di Sant?Egidio. ItaliAfrica tornerà il 28 maggio porssimo. Ma per quali ragioni la Cisl si interessa all?Africa?
Almeno tre. Il suo Dipartimento internazionale due anni fa ha lanciato un programma di cooperazione che ha coinvolto 15 Paesi africani, formando 300 dirigenti sindacali. L?Iscos, l?organizzazione non governativa della Cisl, porta avanti progetti di sviluppo in 14 Paesi al di là del Mediterraneo. E l?Anolf conta più di 50mila stranieri iscritti, un terzo dei quali africani. «In Africa i sindacati posso fare da catalizzatori alle istanze della società civile», afferma Alessandro Bellantoni, responsabile del progetto di formazione dei sindacalisti africani avviato dalla Cisl con il ministero Affari esteri, l?Organizzazione internazionale del lavoro e la Confederazione internazionale dei sindacati indipendenti (Icftu). «Lo scopo è aiutare i sindacati africani a rafforzare l?indipendenza e la capacità di interloquire con i governi».
La parola passa agli africani. «Non mancano iniziative di sviluppo in Africa, ma sono fallimentari perché manca il coinvolgimento delle popolazioni», afferma il beninese Guillame Attigbé, presidente di Icftu Africa. «Si parla di partecipazione della società civile ai Piani di riduzione della povertà, ma è pura teoria». «I Piani di riduzione della povertà potrebbero essere una svolta per l?Africa, dopo l?era degli aiuti legati ai piani di aggiustamento strutturale», concorda l?economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione giustizia e solidarietà della Cei. «Nel ?900 ci sono stati due olocausti, uno dei quali provocato dalla liberalizzazione selvaggia che ha distrutto le economie dei Paesi africani».
Ospite ad Assisi è Jean François Bayart, del centro di ricerca Ceri di Parigi. «L?Africa non è il continente emarginato dalla globalizzazione. A Mogadiscio si trovano tutti i cellulari e i computer che si vogliono. C?è la globalizzazione della guerra, ci sono popolazioni globalizzate nei flussi di profughi. E anche l?ingegneria degli interventi umanitari mette in evidenza l?inserimento tragico dell?Africa in un contesto globalizzato». Più immaginifici gli africani: «La responsabilità è anche dei nostri governanti», dice il sindacalista sudanese Dominique Funda, «che mangiano con due mani invece che con una».
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