Politica
E ora si indignano i giornali
Caccia ai responsabili, ricostruzioni e identikit dei violenti
Ora si indignano i giornali. Nelle ricostruzioni del giorno dopo e nei commenti, si cerca di capire, di interpretare, di attribuire le responsabilità per la giornata di guerriglia nel centro di Roma, che ha di fatto vanificato la grande manifestazione di protesta pacifica di centinaia di migliaia di italiani.
- In rassegna stampa anche:
- NON PROFIT
- TODI
- LAVORO
- FRANCIA
“Così hanno preparato l’attacco” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA. Questa la sintesi in prima del lungo pezzo di ricostruzione di Fiorenza Sarzanini: “Giovanissimi ma guidati da una precisa regia. Polizia e carabinieri cercano di ricostruire i nomi, la strategia e l’organizzazione dei 500 violenti di Roma. La maggior parte è arrivata sabato mattina. Molti di loro si sono addestrati con i No Tav in Val di Susa. Sono i filmati e le testimonianze a fornire i dettagli dei loro comportamenti. Lungo il percorso qualcuno ha già sistemato buste di plastica bianche: segnalano i punti dove si trova il materiale da utilizzare negli scontri e per sfasciare Bancomat e vetrine. Molti giovani che si ritrovano alla «partenza» del corteo si sono mossi in maniera autonoma, tenendosi in contatto via web. Ognuno ha nello zaino fionde, biglie, sassi”. Le prime dieci pagine dedicate ai fatti di Roma e alle reazioni politiche. Due i commenti che partono dalla prima. Piero Ostellino: “Niente illusioni, quella piazza non era pacifica”, e Pierluigi Battista: “L’inaccettabile vecchio vizio di giustificarli”. Sempre in prima, a centro pagina, le dichiarazioni del ministro dell’Interno: “Maroni: poteva scapparci il morto. Identificati con i video 100 violenti”. Questa la sintesi: “Nelle cinque ore di guerriglia urbana che sabato pomeriggio hanno sconvolto Roma durante la manifestazione di protesta degli Indignati, «c’era il rischio concreto che ci potesse scappare il morto». Così il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Il titolare del Viminale ora vuole che «gli autori di queste violenze, veri e propri criminali, paghino in modo esemplare». Sono stati 101, su un totale di 135, i feriti tra le forze dell’ordine che hanno fronteggiato i Black bloc. Grazie ai video ne sono stati identificati cento. Tra gli arrestati anche tre ragazze e un minorenne. Pesante il bilancio dei danni materiali in città: almeno 5 milioni”. Bisogna arrivare a pagina 5 per trovare, con Marco Imarisio, un pezzo dedicato a chi voleva soltanto una manifestazione pacifica, come è avvenuto in tutto il mondo: “Gli Indignati smarriti «Rovinati dai Black bloc»”. Scrive Imarisio: “La verità è che il giorno dopo non c’è un vero perché. I cinquecento «sfasciacarrozze», benevola definizione echeggiata ieri durante una riunione del comitato organizzatore, hanno tutti nome e cognome. Dal 14 dicembre in piazza del Polo alla Val di Susa, sono sempre gli stessi, espressione di un’area che nei mesi scorsi non aveva nascosto il proprio dissenso sugli obiettivi della manifestazione. Potevano entrare e mettersi ovunque, perché porte e finestre erano ben aperte. Nell’ultima settimana le dimensioni della manifestazione erano sfuggite di mano, era diventata una cosa persino troppo grande. In piazza c’erano otto tronconi di corteo ben organizzati. Il resto, che era oltre la metà delle persone scese in piazza, era arrivato sull’onda di Internet, del passaparola. Il rimpianto è quello di aver scelto una struttura aperta per far venire più gente possibile e non essere stati in grado di proteggerla”. Il CORRIERE sposa dunque la linea dell’indignazione contro tutti coloro che cercano di distinguere tra violenti provocatori e manifestanti pacifici. I due editoriali, di Ostellino e di Battista, praticamente si sovrappongono. Scrive Ostellino: “Gli indignati — che, a Roma, marciavano pacificamente «per la rivoluzione», cioè per un cambiamento radicale, ancorché non violento, della democrazia rappresentativa e per l’abbandono del capitalismo e del mercato — sono stati sopraffatti e sconfitti dalla violenza di una minoranza che crede di fare la rivoluzione infrangendo vetrine, distruggendo Bancomat e bruciando automobili. Che piaccia o no, i disordini romani sono stati il tragico, ma concettualmente logico, superamento-completamento dell’illusione della rivoluzione senza violenza. Che è una contraddizione in termini. La «rivoluzione pacifica» è il riformismo; che non sogna cambiamenti palingenetici, l’uomo nuovo, il trionfo del Bene, ma si limita a realizzare ciò che è realisticamente possibile; per il quale — per dirla con Bobbio — «la sovranità non è del popolo, ma dei singoli individui in quanto cittadini»; e che scende raramente in piazza. La violenza romana non ha sanato la contraddizione ma, estremizzandola e radicalizzandola, l’ha rivelata e denunciata”. Fa eco Battista: “A Londra, quest’estate, l’opinione pubblica non ha concesso attenuanti ai violenti. Sono scesi con le ramazze per strada per ripulire la città, per rinsaldare la coesione di una comunità violentata. Per elementare senso civico. La solidarietà nei confronti delle forze dell’ordine non si è esaurita in un giorno ma ne ha accompagnato l’azione repressiva anche in quelli successivi. Per aver definito «rivoltosi» i teppisti, la Bbc è stata messa pesantemente sotto accusa. Sarà capace l’Italia di tener duro? Di stare a fianco della polizia anche nei prossimi mesi? O il giustificazionismo prenderà il sopravvento? O la linea divisoria con i violenti, così clamorosamente tracciata nel giorno della guerra, si sbiadirà, si annacquerà, chiamerà in causa il «disagio sociale», la «gioventù senza futuro», eccetera eccetera per invocare un trattamento più indulgente con chi sabato è stato considerato un nemico, un delinquente, un provocatore, un sabotatore della giusta causa delle manifestazioni pacifiche?”. Per completare il quadro due pagine di approfondimento: “E ora chi paga?” a pagina 10, e “Qui si può fare come a Londra?” a pagina 11.
«Tutti sapevamo cosa volevamo fare. Lo sapevano gli sbirri e lo sapeva il Movimento, anche se ora i “capetti” fanno le anime belle. Lo avevamo annunciato. Ci prepariamo da un anno». LA REPUBBLICA intervista F., 30 anni, pugliese, «una laurea in tasca, un lavoro precario e tutta la rabbia del mondo in corpo», tra i black block che sabato hanno devastato Roma. Un’intervista che dà fuoco alla bufera sulla gestione di Maroni. «Abbiamo fatto un master in Grecia», spiega F., «per un anno una volta al mese abbiamo preso un traghetto da Brindisi e i compagni ateniesi ci hanno fatto capire che la guerriglia urbana è un’arte in cui vince l’organizzazione. Un anno fa avevamo solo una gran voglia di sfasciare tutto, ora sappiamo come sfasciare. A Roma abbiamo vinto perché avevamo un piano». F. racconta nel dettaglio la macchina dell’organizzazione, con gli 800 black block divisi in due falangi, e i secondi 300 avevano l’ordine di non tirare fuori caschi e maschere fino dopo largo Corrado Ricci, per ingannare gli sbirri sui numeri e convincerli che si sarebbero accontentati di sfasciare via Cavour: «ci sono cascati, hanno fatto quello che prevedevamo». In piazza San Giovanni «l’ultima sorpresa»: un Ducati bianco lasciato la sera di venerdì con dentro «armi per vincere non una battaglia, ma la guerra». Le loro falangi, spiega, sono gruppi di 12/15 persone, divisi in tre specializzazioni: c’è chi arma, chi usa le armi e chi è specializzato in bombe carta. Funzionano come i reparti celere, ma quelli dopo il G8 di Genova «se lo sono dimenticato e si muovono sempre più lentamente, qui i loro blindati sono bersagli straordinari». Parli come un militare, dicono i due giornalisti: «parlo come uno che è in guerra» replica lui. Corrado Zunino ripercorre la spaccatura (resa pubblica nei giorni scorsi dalla rivista Contropiano) fra le due anime di chi ha organizzato il corteo, con le 58 sigle che si erano già divise da tre settimane sul “come si va in piazza” e lUbs, Ateneinrivolta e la galassia delle associazioni comunisti a chiedere il corteo libero e la spaccatura con la celere. A commento, REPUBBLICA mette un pezzo di Adriano Sofri, che esordisce dicendo che «ogni volta che una manifestazione viene sequestrata da riti compiaciuti di violenza mi devo ricordare di essere stato un lanciatore di sassi», che sottolinea come il rapporto fra politica e movimenti sia diventato un capitolo della separazione fra garantiti e precari, «topi di campagna e topi di città che non si incontrano».
“Chiudete i centri sociali”, questo è il titolo con cui IL GIORNALE apre la prima pagina e lo spazio (fino a pagina 9) dedicato agli scontri di Roma di sabato. Cronaca, ma soprattutto commento della giornata violenta nella Capitale. Il direttore Alessandro Sallusti ricorda che i violenti non vengono «da Marte e neppure da Berlino o Londra come qualcuno vuole farci credere» ma da «italianissime città, da Bari e Torino». Li definisce «teppisti, giovani annoiati e frustrati che non hanno voglia di diventare grandi, di misurarsi con i problemi della vita» e chiama i centri sociali, «una minaccia non una risorsa della società» e invita «a chiuderli se serve con la forza». E poi un attacco a chi difende i centri sociali («prendere le distanze dai violenti e difendere i centri sociali è una contraddizione in termini») e definisce Carlo Giuliani un delinquente «esattamente come quelli visti all’opera a Roma». Sulla stessa lunghezza d’onda Mario Cervi (“Chi mitizza Carlo Giuliani sta con i criminali”), che premesso che «queste mie considerazioni prendono spunto dalla fine dolorosa d’un giovane e per quella fine hanno il dovuto rispetto» dice che «è innegabile che Carlo Giuliani aveva la stessa mentalità, le pulsioni, le intenzioni che hanno messo a fuoco e fiamme il centro della capitale» sottolineando come chi lo santifichi stia con i black block. Un Feltri in versione pasolinana conclude il trittico di commenti. (“Elogio degli agenti eroi massacrati e sbeffeggiati”). L’ex direttore mette in evidenza come esistano secondo lui «due pesi e due misure» nel trattamento tra gli agenti e i manifestanti perché «il rivoluzionario va rispettato, lo sbirro è uno sbirro e sputacchiarlo è un dovere del proletariato». Un poliziotto che non può intervenire e che se lo fa come a Genova sbaglia («se interviene per tutelare l’ordine pubblico e reprimere violenze sbaglia. Se non interviene, sbaglia lo stesso»). Sul fronte della cronaca, a pag 2 dito puntato contro l’impunità verso i no global responsabili delle violenze. “la polizia conosce i no global ma nessuno osa fermarli”, la colpa sarebbe di «un tratto buonista, quasi un riflesso culturale, di parte della magistratura, c’è la sindrome da G8 della polizia che teme di essere accusata di chissà quali nefandezze, c’è il tabù insuperabile della denuncia civile dentro il Movimento» e si citano gli esempio di come alcune delle persone coinvolti in scontri passati non siano mai state punite. A pag 3 taglio basso invece dito puntato contro i cosiddetti “cattivi maestri” che a sinistra (sono citati Eco e Camilleri) con le loro affermazioni giustificano per chi scrive la violenza nelle piazze. A pag.4 invece la conta dei danni nella Capitale. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno li stima 1,6 milioni oltre ai beni privati danneggiati. Il primo cittadino della Capitale chiede per il futuro «un’azione preventiva delle forze dell’ordine» ma nell’immediato «adeguata durezza verso questi animali». Roberto Maroni invece, ministro degli Interni ringrazia le forze dell’ordine perché «hanno evitato che ci scappasse il morto e il rischio era concreto perché i violenti si sono fatti volutamente scudo del corteo» e chiede che gli autori paghino in «modo esemplare». Taglio basso di pagina 4 e 5, dedicato invece a due storie contrapposte, quella di Agostino Ghiglia del Pdl, deputato “anti-anarchici” «insultato e salvato dal pestaggio grazie alla Digos» a Torino dove si è confrontato con i no Tav, mentre alla pagina accanto si riferiscono le dichiarazioni dell’ex governatore civile di Nassiryia Barbara Contini, ora senatrice di Fli, che avrebbe detto che “se Berlusconi avesse lasciato molto probabilmente non ci sarebbe stato il caos». Per concludere a pagina 6 e 8, due articoli su due aspetti della protesta. “Cade l’ultimo tabù. La Madonna distrutta è un’offesa all’uomo”, in cui Luca Doninelli definisce la profanazione di una statua della Vergine «non solo un’offesa alla religione ma più profondamente all’uomo e alla sua dignità”. Mentre due pagine dopo chi scrive si concentra sugli insulti rivolti a Marco Pannella leader dei Radicali da quella che sarcasticamente chi scrive definisce «il lato pacifico dei black bloc. Quelli in nero spaccano vetrine e lanciano molotov e estintori. Questi vomitano violenza verbale, intolleranza, brandelli di ideologia spappolata». Manifestanti accusati di avere una memoria corta per le battaglie che Pannella ha portato avanti negli anni passati.
Come ogni lunedì IL SOLE 24 ORE si occupa esclusivamente di economia e mercati. “Conti esteri nel mirino” il titolo. Cenno ai disordini romani solo online. “Guerriglia a Roma, perquisizioni e controlli fra gli anarco-insurrezionalisti in tutta Italia” il titolo del pezzo a cura della redazione. «È in corso su tutto il territorio nazionale una vasta operazione di Polizia e Carabinieri con perquisizioni e controlli negli ambienti degli anarco-insurrezionalisti e dell’estremismo più radicale. L’operazione, iniziata all’alba e ancora in corso, fa seguito ai gravi incidenti avvenuti a Roma nel corso della manifestazione degli indignati di sabato scorso e sta interessando tutte le regioni italiane, dal Trentino alla Sicilia. “Esecrazione” per le violenze dei Black-bloc di sabato a Roma è stata espressa questa mattina anche dal cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, in apertura del forum delle associazioni cattoliche». Luca Dello Iacovo invece firma “Smascherare i black bloc: appello sui social network per raccogliere fotografie e video dei testimoni”. «Un appello per ricevere video e fotografie degli scontri a Roma durante la manifestazione degli indignati: il passaparola corre sui social network dove circolano indirizzi di posta elettronica per inviare immagini e filmati. Per alcuni blogger è l’ “Operazione smascheriamo i violenti”: vogliono contribuire all’identificazione dei “black bloc” e dei teppisti che hanno iniziato una guerriglia urbana contro le forze dell’ordine e i cittadini. A facilitare il compito è la diffusione di cellulari in grado di scattare foto».
LA STAMPA dedica al post-protesta di Roma ben 11 pagine. L’apertura è per Maroni («evitato il morto») e per la cronaca degli arresti di manifestanti, con in taglio basso l’allarme «sottovalutato» dalla Digos. Altre due pagine sono dedicate a loro, i black bloc, e cercano di capire chi sono e come li fermano all’estero: dalla linea dura di Londra, New York e Berlino (carcere anche solo per chi si copre il volto in Germania) a quella più morbida di Parigi (manifestare è sacro comunque). Altre due pagine sono dedicate alla fotocronaca degli scontri di Roma, mentre per il capitolo “reazioni politiche” ci sono due interviste affiancate a Ignazio La Russa e Antonio Di Pietro: il primo difende Maroni e la gestione delle forze dell’ordine, il secondo le attacca per come non hanno prevenuto la battaglia. L’ultima accoppiata di pagine cerca di delineare il futuro del movimento dal di dentro: in realtà niente di particolarmente nuovo, gli indignados pacifici si indignano contro i violenti, li chiamano «fascisti», promettono un servizio d’ordine interno più efficiente. Infine, Massimo Gramellini in prima parlano dei «soliti noti» (i teppisti), critica i commentatori del giorno dopo, incapaci secondo lui di uscire dalle polemiche sulle devastazioni per prendere in esame seriamente gli ideali e le richieste di chi manifestava in buona fede.
E inoltre sui giornali di oggi:
NON PROFIT
IL SOLE 24 ORE – Elio Silva firma “Terzo settore, un’agenzia in disarmo”. Il giornalista racconta che per l’Agenzia del Terzo Settore lavorano «12 persone (sei dipendenti più altri sei in distacco da diverse amministrazioni dello Stato) che attendono di conoscere il proprio destino. Il direttore ha il contratto in scadenza a gennaio. Il presidente, Stefano Zamagni, e l’intero consiglio (11 membri) sono anche loro a fine corsa: il termine di decadenza è a dicembre. Stanno continuando a lavorare, ma non è dato sapere con quanta soddisfazione, visto che dal giugno 2010, in ottemperanza a una norma della legge 122 di conversione del decreto 78 (articolo 6, comma 2), che aveva tagliato le indennità di funzione per gli organi amministrativi degli enti, si sono autosospesi dal compenso e operano, pertanto, a titolo gratuito. Non vi è certezza sul budget 2012, anche se, come impongono le regole contabili, nei giorni scorsi è stato sottoposto ad approvazione un preventivo per una cifra vicina ai 700mila euro, 26mila in meno dell’anno corrente, la metà di due anni fa e poco più di un quarto rispetto ai 2,5 milioni di dote assegnati in quelli che vengono ricordati come gli “anni d’oro”, il 2005 e il 2006». La domanda dunque è «Sopravviverà, dunque, l’Agenzia per il Terzo settore alla perdurante inerzia nel restyling del suo futuro?». Domanda che il giornalista allarga anche a tutto il non profit. Il presidente illustra la forchetta delle possibilità: «“Siamo a due mesi dalla scadenza della consiliatura e non sappiamo nulla di preciso – ammette il presidente Stefano Zamagni, autorità riconosciuta in materia di economia civile e ispiratore, nel 1996, della disciplina fiscale di vantaggio per le Onlus, organizzazioni non lucrative di utilità sociale -. Le ipotesi che si possono fare sono tuttora tre. La prima è quella della chiusura, con il trasferimento delle competenze a un diverso ufficio, per esempio un dipartimento della presidenza del Consiglio. La seconda prevede il rinnovo nella veste attuale, ma con un budget via via più ristretto. La terza, infine, sarebbe la trasformazione in una vera e propria Authority, come più volte si è chiesto negli ultimi anni”».
TODI
LA REPUBBLICA – Intervista a Andrea Olivero (Acli) sulle giornate di Todi: «Il berlsuconismo è finito, è ora di dirlo tutti insieme.Sarebbe già un buon traguardo. Ma occorre anche pensare cosa fare dopo. Purtroppo di leader senza progetti ne abbiamo già visti».
LAVORO
ITALIA OGGI – Lavoro certo per i professionisti sanitari non medici a un anno della laurea. Lo sostiene l’approfondimento a pag 52 “Dal fisioterapista al logopedista,l’occupazione sfiora il 100%”. «Sarà per colpa (o merito) di un Italia over 60 o di un culto del corpo che non ha età, fatto sta che per infermieri, fisioterapisti, ma anche igienisti dentali, podologi e logopedisti, il lavoro è certo». L’analisi è della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie incrociando i dati di Almalaurea e del Consorzio Cinea Stella.
FRANCIA
CORRIERE DELLA SERA – Le pagine 20 e 21 dedicate all’esito delle primarie dei socialisti, con pezzi di Stefano Montefiori: “I socialisti scelgono Hollande. Sarà lui a sfidare Sarkozy. Alle consultazioni 3 milioni di voti” e questo è il ritratto dello sfidante di Sarkozy: “Arriva il candidato in scooter campione della «gauche molle»”.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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