Economia
E ora la nuova filiera agricola
I programmi di Sergio Marini, rieletto presidente
«Associare la nostra organizzazione a tutte
le strutture. Per raggiungere un nuovo patto con la gente e
il territorio. Questa
è la scommessa.
Che deve essere remunerativa per tutti»
Èstata una investitura fortissima, quella che ha confermato Sergio Marini (nella foto) alla guida della Coldiretti, la principale organizzazione agricola nazionale e fra le prime a livello europeo (un milione e mezzo di associati, 18 federazioni regionali, 978 provinciali, 724 uffici di zona e 5.668 sezioni periferiche con oltre 20mila dirigenti territoriali). È stato rieletto con il 99% dei voti dei delegati nel corso dell’assemblea di rinnovo cariche svoltasi a Roma a fine gennaio. «Un risultato che mi ha reso estremamente contento. Se si pensa che lo scrutinio era segreto, che non ci sono state schede bianche o nulle… Certo è un ulteriore stimolo e un carico di responsabilità», commenta il presidente neo-confermato, che ora ha a disposizione quattro anni per dare concretezza al programma che ha avviato con il primo mandato.
La rigenerazione dell’agricoltura (secondo lo slogan che ha dato il titolo all’assemblea: «Il nostro progetto per il Paese: una filiera tutta italiana e tutta agricola») è dunque l’obiettivo anche del prossimo quadriennio, da perseguire con una strategia che Marini ha delineato chiaramente. «Dobbiamo associare a Coldiretti tutte quelle strutture, consorzi e cooperative, utili per costruire una filiera il più possibile agricola, sapendo che le filiere che contano sono quelle efficaci, che danno una giusta remunerazione a tutte le componenti».
Un’operazione che strategicamente ha coinvolto (e continuerà a coinvolgere) anche iniziative come i farmer’s market e la Fondazione Campagna amica: «Momenti che possono servire a commercializzare i prodotti ma che pensiamo soprattutto come strumenti per entrare in comunicazione con la gente, per stringere un nuovo patto che valorizza la qualità, il territorio, la sicurezza alimentare».
Su quest’ultimo fronte, «la buona notizia», aggiunge il presidente, «è che l’Unione europea ha sancito che per essere italiano un olio deve essere fatto con olive italiane». E il decreto quote latte? «Affronta un problema spinoso che è bene chiudere dopo più di vent’anni. Contiene cose positive e altre che ci piacciono meno. Ad esempio non stanzia risorse per il fondo ristrutturazione e poi vorremmo che i criteri per la rateizzazione di quanti hanno splafonato fossero un po’ più rigidi. Anche per tutelare chi in questi anni è stato onesto. Non vorremmo che, alla fine, chi ha splafonato sia trattato meglio di quanti hanno fatto scelte corrette».
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