Era la minaccia dei cineforum. Però ora che non c’è più, il dibattito un pò manca. Per trovarlo bisogna emigrare (o partire per le ferie) in Inghilterra, aiutato dai compagni di Vita Europe e da segnalazioni varie che dicono di un confronto sull’impresa sociale piuttosto intenso. Agitato da due news recenti. La prima: il lancio della “Big society bank”, un istituto di credito che prende il nome dalla parola d’ordine del governo in carica e che finanzierà la produzione di servizi pubblici da parte di imprese sociali, charities e organizzazioni di volontariato. La banca, e questo è forse il punto più interessante, avrà come dotazione i conti dormienti presso le banche inglesi. Un ammontare fra i 60 e 100 milioni di sterline. Pare, perché in realtà si dibatte molto sull’ammontare delle risorse dormienti e inoltre si denuncia il rischio che, in tempi di crisi, una parte di questi fondi venga dirottata su altri investimenti o capitoli di spesa. Ma Cameron in persona ha assicurato che “neanche un penny” verrà sottratto. Al ché la domanda sorge spontanea: che fine hanno fatto i conti dorminenti italiani? Era una buona occasione per un “5 per mille straordinario” che ripagasse, in parte, lentezze e retromarce che hanno caratterizzato la gestione ordinaria di questa misura. La seconda notizia, più recente e che non ha ancora raggiunto i nostri lidi, è la pubblicazione di un libro bianco sul futuro del sistema sanitario inglese dove si sostiene, fra l’altro, la volontà di creare “il più vasto settore di impresa sociale nel mondo” allargando il modello ai foundations trust, strutture locali che gestiscono prestazioni sanitarie per conto del servizio nazionale e sono amministrate da utenti, lavoratori, cittadini. Anche su questo fronte la discussione non manca, in particolare si segnala lo scetticismo della social enterprise coalition che vede nella proposta ministeriale una sorta di “fuga in avanti” che allarga eccessivamente il perimetro dell’imprenditoria sociale, comprendendovi organizzazioni che non sono, a loro avviso, completamente autonome rispetto alle amministrazioni pubbliche. Il tutto mentre qui si sta ancora cercando col lanternino un qualche riferimento all’impresa sociale, anche indiretto e vago, nel nostrano libro bianco sul futuro del modello sociale. Non lagnamoci troppo comunque. Perché di notizie da dibattere non mancano neanche qui da noi. Sole 24 ore di lunedì scorso: sono 629 le imprese sociali ai sensi della nuova normativa (al netto dello zoccolo duro della cooperazione sociale). Cento in più rispetto a un anno fa. E il tutto non solo senza incentivi, ma (soprattutto) senza informazione, come dimostrano i dati presentati nello stesso articolo. “Trend da tigre asiatica” mi dice qualche compagno di sventura. In attesa che, anche qui, qualcuno (anzi meglio, qualcun altro) si muova.
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