Per la maggior parte delle organizzazioni benefiche, la raccolta fondo è spesso considerata un male necessario. Mancano i fondi per finanziare le proprie attività e quindi bisogna chiedere aiuto. Frasi del tipo “grazie al tuo aiuto abbiamo fatto tanto” che possiamo leggere nelle comunicazioni degli enti non profit a conclusione delle loro campagne di raccolta fondi, sono indicative di tale approccio. Siamo noi che facciamo, ma per poter fare abbiamo bisogno del tuo aiuto.
Questo approccio sconta tre vizi originari:
- È una richiesta di aiuto, cosa che non tutti amano fare;
- Chiede al donatore di fare un sacrificio, una rinuncia, magari per adempiere ad un dovere o per placare un senso di colpa;
- Il fine di tutto sono i soldi e la relazione con il donatore rischia di diventare strumentale: quello che mi interessa non sei tu, ma i tuoi soldi.
È facile intuire come questi aspetti abbiano delle conseguenze negative: diventa difficile mobilitare l’intera organizzazione in un’attività che si trasforma nel compito esclusivo di un ufficio a ciò preposto, limitando così le risorse che potrebbero essere attivate per coinvolgere i donatori; si fa appello a delle leve: il sacrificio, il senso del dovere, lo spirito di rinuncia che sono sempre meno diffuse nella nostra società; si rischia di strumentalizzare il donatore che, proprio per questo, donerà meno volentieri e tenderà ad essere a non ripetere il suo atto (il tasso medio di ritenzione dei donatori è del 23%).
Tutto questo spinge le organizzazioni a investire risorse sempre più consistenti in attività di marketing e comunicazione con risultati che tendono ad essere decrescenti, in quanto scontano il crescente affollamento del mercato. Basti pensare a quanto sta accadendo per il 5 per mille, per cui sono necessari investimenti sempre più consistenti e la maggior parte delle risorse vengono destinate ad un numero limitato di organizzazioni, quelle che possono permettersi di coprire i costi di un’efficace comunicazione. Oppure ci si ingegna per scovare meccanismi semi automatici per cercare rendere la donazione conveniente, collegandola a sconti o ad altri benefici, approcci questi che spesso si rivelano più interessanti per i partner commerciali che per gli enti benefici e che si fondano su una sostanziale incomprensione dei meccanismi che spingono le persone a donare.
Le analisi e le riflessioni che da oltre cinque anni vengono svolte nell’ambito del Master per promotori del dono stanno però facendo emergere come la promozione del dono possa rivelarsi un’importante opportunità per gli enti benefici, opportunità che questi dovrebbero perseguire indipendentemente dalle loro esigenze contingenti:
- La promozione del dono è l’attività economica con il più alto ritorno sugli investimenti che un ente benefico possa implementare, per esempio, Fondazione Italia per il dono, negli ultimi anni, ha sempre raccolto oltre dieci volte tanto i propri costi operativi e, nel 2021, a fronte di uscite di 260.000 euro, ha ricevuto donazioni per oltre 24 milioni, con un ROI (ritorno sull’investimenti) pari ad oltre il 9.000%.
- La promozione del dono “costringe” l’ente a sviluppare quelle attività: comunicazione, cura delle relazioni, approfondimento della propria identità, riscoperta dello straordinario del proprio ordinario, valutazione dell’impatto; che tutti ritengono fondamentali per il perseguimento della propria missione, ma che spesso vengono trascurate per gestire le emergenze operative collegate alla gestione dei servizi, con evidenti conseguenze negative per la sostenibilità di lungo periodo e per la capacità di realizzare la propria visione.
- La promozione del dono permette poi di dare un contributo sostanziale allo sviluppo della nostra società sia che ci si voglia limitare a contrastare i processi generativi oggi così evidenti, sia che invece si senta la necessità di promuovere un profondo cambiamento nel nostro sistema sociale. Il dono, per definizione, rafforza le relazioni e i legami sociali contribuendo a rigenerare quel patrimonio di fiducia che è fondamentale per il corretto funzionamento dei meccanismi del mercato e delle istituzioni democratiche. Nel contempo il dono, proprio perché incomprensibile da parte del pensiero moderno, può offrirci gli strumenti per andare oltre la crisi della modernità e immaginare un modello sociale profondamente diverso da quello che oggi ci viene proposto come l’unico possibile.
Sono motivazioni molto forti che dovrebbero attirare l’attenzione di tutti coloro che operano nel settore e sono stanchi di essere considerarti come l’ultima ruota del carro, una sorta di tappa buchi chiamato a prendersi cura delle attività che il settore pubblico e quello commerciale non vogliono o non possono gestire. La promozione del dono rappresenta un importante vantaggio competitivo, forse l’unico, per un settore che non può attirare il capitale di rischio con cui finanziarsi e non può neppure contare sulle risorse provenienti dalla finanza pubblica, per affermare il proprio ruolo in modo efficace e, soprattutto, gratificante per chi vi opera.
Purtroppo la maggior parte degli operatori e soprattutto dei dirigenti di questo settore non sono consapevoli di tale potenzialità e sono convinti che il loro valore aggiunto sia solamente quello di erogare servizi a basso costo con cui compensare i fallimenti dello stato e del mercato e ciò malgrado le evoluzioni presenti mostrino chiaramente come i modelli operativi che si fondano su questo assunto e che sono stati implementati nei decenni passati non siano più sostenibili. Approfondire le opportunità che la promozione del dono offre a tutti coloro che perseguono il bene comune è quindi un’esigenza a cui non è possibile sottrarsi senza correre il rischio di condannarsi all’irrilevanza se non al fallimento.
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