E ora di dare applicazione alla Riforma della Cooperazione allo sviluppo

di Eduardo Missoni

L’11 agosto 2014, con l’approvazione della Legge 125/14, il Parlamento varava la riforma della Cooperazione Italiana allo Sviluppo, modificandone anche l’assetto organizzativo stabilito ventisette anni prima con Legge 49/87.

Certamente il cambiamento più evidente introdotta con la riforma  è rappresentato dalla costituzione di un’Agenzia cui affidare la gestione delle attività e dal riassetto dei rapporti
tra i soggetti istituzionali coinvolti. Non sono meno significativi il cambiamento del nome del ministero competente, che diviene Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’istituzione della figura di un viceministro ad hoc e il coinvolgimento dell’intero Governo nella programmazione e indirizzo della politica della cooperazione allo sviluppo, chiamata a qualificare la politica estera dell’Italia e la reintroduzione di meccanismi di consultazione dei principali attori sociali interessati e di partecipazione civica.

Con la Legge 125/14, l’Italia modifica l’assetto organizzativo della sua cooperazione allo sviluppo stabilito ventisette anni prima con la Legge 49/87. Benché alcuni cambiamenti siano di grande importanza e rispondano anche a ripetute raccomandazioni dell’OCSE-DAC sulla base dell’esame dell’aiuto italiano, altri non sembrano risolvere alla radice i problemi della cooperazione italiana.
Sono senz’altro da accogliere positivamente l’enfasi posta sulla co- operazione come elemento qualificante della politica estera, modificando anche nel nome il ministero competente e affiancando al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale la figura di un Vice-Ministro della Cooperazione allo Sviluppo. La (re)introduzione del Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (CICS) – organo che già era stato previsto dal Legislatore nella legge n.49/87 e poi eliminato all’inizio degli anni ’90 come ente inutile – ed in particolare la sua estensione a tutti i Ministeri, con l’affidamento della responsabilità dell’indirizzo al Governo nella sua totalità, appare di grande importanza per assicurare il necessario coordinamento inter-istituzionale superare l’attuale frammentazione e assicurare l’indispensabile coerenza delle politiche. Rispondono a questo stesso indirizzo l’obbligo d’indicazione nel bilancio di tutti gli stanziamenti destinati, anche in parte, al finanziamento di interventi a sostegno di politiche di cooperazione allo sviluppo, e quello per le Regioni, le province autonome e gli enti locali di comunicare preventivamente le attività di partenariato territoriale, finanziate e programmate. Non meno positive la (re)introduzione di un meccanismo di consultazione esteso ai principali soggetti della società italiana nel Consiglio Nazionale di Cooperazione allo Sviluppo (anche l’analogo Comitato Consultivo ex lege n.49/87 fu soppresso come ente inutile), e la decisione di una convocazione ogni tre anni di una Conferenza pubblica, ma affinché questi organi di consultazione possano davvero contribuire alla qualità della cooperazione italiana dipenderà in larga misura dalla volontà politica di riconoscerne il ruolo. L’elemento di maggiore innovazione sul piano della gestione appare però essere l’istituzione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che certamente rappresenta un’opportunità. Non può tuttavia sfuggire l’approccio minimalista e conservatore che ha caratterizzato questa scelta. L’Agenzia, infatti, benché dotata di autonomia di bilancio, viene limitata nei suoi compiti (ridotti rispetto a quelli che nella DGCS aveva l’UTC) e nelle risorse (anche future), mentre si conserva la DGCS per lo svolgimento di compiti anche di natura tecnica, come quelli inerenti la programmazione annuale a livello paese o la predisposizione degli interventi di emergenza, con probabili conflitti di attribuzione e duplicazione di risorse umane.
Ma soprattutto, la riforma non ha separato l’indirizzo dalla sua attuazione, lasciando che il Ministro coniughi ancora la funzione d’indirizzo con il potere decisionale sul finanziamento delle singole iniziative, seppure condiviso in un organo collegiale, cui partecipa con diritto di voto anche il Direttore Generale dell’Agenzia.
Naturalmente la legge a lasciato aperte molteplici questioni da risolvere in sede di regolamento della DGCS, di Statuto dell’Agenzia e di normativa secondaria in generale. La legge stabiliva come termine ultimo per il varo di questi strumenti sei mesi dalla data della pubblicazione del testo di legge sulla Gazzetta Ufficiale . Il termine è scaduto il 24 di febbraio scorso.

La bozza del regolamento è attualmente all’esame delle competenti commissioni parlamentari, ma già emergono malumori per un testo che sembra smorzare per quanto possibile l’innovazione organizzativa introdotta con la riforma, tra cui un depotenziamento di un’Agenzia che, a parere di chi scrive già nasceva piuttosto debole nella configurazione decisa dal Legislatore.

Comunque sia, una volta che anche questo passaggio sarà completato, ci sarà da rimboccarsi le maniche per permettere alla Cooperazione Italiana di acquisire un po’ di  credibilità sul piano internazionale.
Uno spirito di collaborazione fattiva, onesta e trasparente tra i diversi attori istituzionali, e tra questi e gli altri soggetti del “Sistema Italia” che vogliano contribuire al rilancio della Cooperazione italiana sarà la ricetta per un superamento delle inevitabili difficoltà del nuovo percorso intrapreso. In che modo il nuovo assetto contribuirà ad un’azione strategica dell’Italia di fronte alle nuove sfide dell’agenda globale, come permetterà di recepire e valorizzare le esperienze migliori della cooperazione italiana, la sua tradizionale visione di sistema, la forte identificazione con il territorio e le realtà locali e la vitalità dei sui molti suoi attori, rimane una questione aperta.
L’assetto organizzativo è certamente importante, ma le organizzazioni si fondano sulle persone. Il buon funzionamento del sistema, e prima di tutto delle istituzioni chiamate a promuoverlo e coordinarlo, dipende dalla conoscenza, dall’esperienza e dalla motivazione, ma soprattutto dall’etica che caratterizza le scelte e l’azione di tutte le persone a diverso titolo coinvolte, concorrendo alla costruzione di organizzazioni etiche, come dovrebbero essere quelle che s’ispirano a principi di cooperazione e solidarietà internazionale.
In ogni caso bisognerà percorrere la strada già tracciata al meglio con periodiche verifiche e valutazioni che potranno orientare le correzioni di rotta che si renderanno certamente necessarie affinché l’Italia possa contribuire in modo efficace allo sviluppo sostenibile dei paesi partner e più in generale ad una solidale cooperazione internazionale oggi necessaria più che mai.

Per chi volesse approfondire rimando allo studio realizzato per Actionaid.

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