Sostenibilità
È ora che l’Italia si accorga di essere un leader nel “verde”
Sostenibilità Green Italia Day
di Redazione
Green Italia Day, un anno dopo. In occasione del secondo workshop organizzato dalla Fondazione Istud l’Italia sostenibile, pubbliche amministrazioni, imprese e non profit si incontrano a Milano per fare il punto sull’ “energia verde” che corre nelle vene del nostro paese. Ne abbiamo parlato con Maurizio Guandalini, economista della Fondazione Istud e curatore, insieme a Victor Uckmar, del volume Green Italia. La rivoluzione verde è adesso. Come cambierà la nostra vita, edito da Mondadori Università e in uscita nelle librerie il 20 aprile.
È stato un anno denso sul fronte del green: ci sono elementi che hanno fatto crescere una sensibilità diffusa rispetto alla sostenibilità ambientale?
Pew Charitable Trusts, la non profit americana di informazione sull’energia pulita, colloca l’Italia al quarto posto – dopo Cina, Germania e Stati Uniti – come capacità di attirare investimenti privati nel settore delle rinnovabili: abbiamo scalato in un anno quattro posizioni. Siamo a 10,45 miliardi di euro investiti da privati sul suolo italiano nelle rinnovabili: nel solare 6,5 miliardi di euro e nell’eolico 3,38 miliardi di euro. In un solo anno gli investimenti sono aumentati del 124%. La strada è segnata: fonti rinnovabili a parte, il green, la sostenibilità tocca trasversalmente tutti i settori della nostra vita, dagli elettrodomestici alle auto.
Qual è invece, in Italia, il principale elemento “di resistenza” alla filosofia green?
L’elemento più urticante è la frammentazione, a parte la burocrazia e il modo di fare arruffone tipico dell’Italia. Abbiamo un universo green fatto di piccole e medie imprese, di sperimentazioni straordinarie che evidenziano la capacità di fare dei nostri ricercatori, ma è come se mancasse qualcosa per chiudere il cerchio. Quella parolina magica: Sistema. Dove sta il sistema, il raccordo, il gruppo? L’Italia ha tutto per essere candidata a essere uno dei distretti green più importanti al mondo. Certo anche questi stop and go del governo sugli incentivi, e poi la scelta strategica sul nucleare, non aiutano a crederci.
I recenti fatti di cronaca, dal Nordafrica a Fukushima, hanno riportato questi temi al centro della riflessione, politica ed economica. Possono rappresentare davvero lo “scatto” decisivo perché questa riflessione diventi consuetudine?
Non è che dobbiamo aspettare una guerra o l’esplosione di una centrale nucleare per affermare una consuetudine. Negli italiani l’attenzione al green non è recente. È già consolidata. I cittadini sono “avanti” da tempo. Una recente ricerca di Legambiente ci dice che nel 94% dei comuni italiani sono installati impianti da fonti rinnovabili. Un comune italiano su otto è autosufficiente grazie a sole, vento, biomasse e geotermia. Se non è consuetudine questa… È vero che nei grandi cambiamenti, oserei dire epocali, occorre l’esempio. Basterebbero alcune parole d’ordine da parte del Governo: entro il 2012 tutti gli edifici pubblici devono funzionare attingendo a fonti rinnovabili. Invece si continua a perdere tempo a discutere sul nucleare sì, nucleare no. È una partita francamente sbilanciata in partenza.
Perché un’impresa italiana dovrebbe investire, dal punto di vista della filiera produttiva, della selezione delle materie prime, fino alla distribuzione ecc, su pratiche sostenibili? Conviene davvero?
È certo che conviene. Sono i dati aziendali che lo confermano. Non a caso all’interno delle imprese il filone della sostenibilità ha un peso sostanziale anche nelle scelte produttive. Pensiamo a una banca come Intesa Sanpaolo, che al suo interno ha la figura dell’Energy manager. Vuol dire che un comportamento virtuoso viene percepito dai cittadini, e viene premiato. Qui sta l’enorme patrimonio e quindi il valore aggiunto delle imprese che fanno una compiuta scelta green.
Quanto il mondo della formazione, universitaria e postuniversitaria, è pronto e aggiornato su questo fronte?
Io sono un “mestierante”, un artigiano dell’economia che da una vita si occupa di formazione. Anche nel green c’è un ritardo preoccupante, come ho riscontrato anche in altri settori. Il distacco tra il mondo del lavoro e quello che viene insegnato è siderale. L’avvento della green economy porta con sé l’esigenza di nuove figure professionali. Servono, sia nella scuola secondaria, come nelle scuole professionali “Arti e Mestieri”, fino alla formazione post universitaria input chiari dalle aziende. Le stesse aziende devono entrare nei comitati di programmazione delle scuole per dirci chi dobbiamo formare e le nozioni pratiche da sviluppare. Il tempo, anche qui, è quasi scaduto.
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