Non profit
È ora che il non profit dia i numeri
Difficile pianificare senza dati
Quando un collega straniero mi chiede: «Ma quante sono le organizzazioni non profit in Italia?», io dico, con un certo imbarazzo: «Gli ultimi dati, che sono del 1999… cioè di 12 anni fa…». A quel punto vedo un misto di sorpresa e incredulità negli occhi del collega, che interrompendomi mi chiede: «Come mai dati così vecchi?».
Se si mettono a confronto i dati dei due istituti di ricerca più importanti (almeno ci sono loro, deo gratias, che hanno fatto delle ricerche!) si scopre che in un caso le donazioni sono tre volte di più rispetto all’altra rilevazione. Possibile? In alcune ricerche la crisi non si sente, in altre la crisi è tremenda. Ma come sono costruiti i campioni? Con che rigorosità si può estendere un questionario svolto su internet su base volontaria al campione nazionale?
Ma cosa deve fare come priorità assoluta l’Agenzia del terzo settore se non un’indagine sul non profit e sui donatori in Italia? Ma cosa serve pubblicare articoli e articoli sul come e sul perché il non profit deve esistere e/o come deve fare a “sopravvivere” se non sappiamo nemmeno quanti sono i donatori in Italia, chi dona e perché? Perché si insiste sullo spiegare come “dovrebbe” essere il non profit, ma non ci viene spiegato come “è” il non profit? Quanti investimenti in campagne di fundraising si potrebbero fare meglio, se si sapesse, ad esempio, chi sono coloro che sono propensi al dono, chi dona, chi non dona, quanti sono disposti a donare? Difficile da sapere? No! Basta chiedere. Ma è chiaro che questi dati non possono venire dalle organizzazioni non profit, ma solo da un ente che le rappresenta, le tutela o le regola. Ho deciso: manderò il mio curriculum al ministero come candidato all’Agenzia del terzo settore, tanto l’incarico è gratuito e nessuno mi può accusare di farlo per “profitto”…
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