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E Martini ci disse: «Il vero dialogo parte dal basso»

I giovani di Yalla Italia in visita al cardinale

di Paolo Branca

Un incontro ristretto dell’arcivescovo emerito di Milano con alcuni ragazzi di seconda generazione. Con loro il docente che da anni li accompagna. E che qui racconta È un grigio pomeriggio ancora da fine inverno, scuro, piovoso e reso ancor più mesto dal silenzio della campagna circostante e dallo spopolamento delle strade di provincia che circondano l’istituto Aloisianum dei Gesuiti di Gallarate, in provincia di Varese. Eppure il piccolo gruppo di Yalla Italia (i ragazzi di seconda generazione che da due anni pubblicano un inserto mensile allegato a Vita, ndr) che sbarca dalle auto davanti all’ingresso è emozionato ed eccitato: stiamo per incontrare una persona speciale, che ha accolto con grande disponibilità la nostra proposta di fargli visita. Un po’ curvo per il peso degli anni e a motivo di una grave malattia che lo affligge da tempo, il cardinale Carlo Maria Martini ci riceve in una piccola saletta al pian terreno. È lucido, attento, il suo sguardo luminoso e penetrante è quello di sempre. Ascolta paziente il breve discorso col quale ci presentiamo. Poi parla di sé: «Ho 82 anni e soffro di una malattia debilitante. Sono stato arcivescovo di Milano fino al 2002, poi ho trascorso sei anni a Gerusalemme? Qui non faccio una vita troppo solitaria, molte persone vengono a trovarmi e chiedono udienza». Anche se ci ha appena conosciuti, non esita ad esprimere il suo apprezzamento per la nostra piccola realtà: «Voglio ringraziarvi per quel che fate, mi sembra un ottimo programma».
Dalla sua esperienza cogliamo utili insegnamenti validi anche per noi: «Ho vissuto la situazione della Terrasanta, soprattutto come luogo in cui ci sono tante tensioni. Vorrei sottolineare due cose: la prima è che come straniero non ho voluto dare giudizi perché non avevo la capacità di farlo e non sarebbe stato neanche utile. Poi vorrei darvi un avvertimento: non lasciatevi influenzare dall’ultimo con cui avete parlato, perché vi riempie di emozioni ma non vi aiuta a vedere l’insieme. Quando sarete giunti al punto di dire “Non ci capisco niente”, vuol dire che avete incominciato a prendere contatto con la situazione. Bisogna promuovere tutto ciò che genera amicizia e comprensione. Sono rimasto molto colpito da una realtà a cui appartengono persone che hanno subito un grave lutto, e pur appartenendo a diverse realtà religiose non passano il tempo a crogiolarsi nel desiderio di vendetta, ma cercano di capire la sofferenza dell’altro, di comprendersi e promuovere forme di riconciliazione. È molto di più di quanto fanno i politici, perché hanno interesse a un dialogo interiore».
E chiaro che, se gli fosse possibile, seguirebbe più da vicino la nostra esperienza, ma non esita ad incoraggiarci: «Purtroppo non posso fare molto perché sono malato, ma vi assicuro la mia preghiera, perché ciò che fate è per il bene di molte persone. Il dialogo interreligioso si fa dal basso, non tra i capi che si incontrano nei grandi alberghi, fanno banchetti ma lasciano tutto come prima. Va promossa l’interiorità prima che le apparenze».
Si compiace della maggioranza femminile che contraddistingue il gruppo, la vede come un elemento positivo e promettente. Infine ci offre una lettura confortante della situazione attuale: «Nel nostro Paese c’è molta sofferenza, l’Italia può sembrare un Paese superficiale ma non lo è. In molte forme le persone dimostrano la loro religiosità e la mia speranza è che tutto ciò arrivi anche a livello politico». Parole semplici e profonde, come devono essere quelle di un pastore e di un maestro.

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