Welfare

È malavita, ma è la mia vita

Lettera dal carcere

di Ornella Favero

Se vogliamo capire qualcosa di più di quello che succede nei quartieri e nelle periferie degradate di tante città del Sud, facciamoci aiutare dai giornali degli istituti penali minorili: quello di Catanzaro si chiama Il cielo è di tutti? quelli che hanno le ali e pubblica articoli e testimonianze dove con un crudo realismo, misto alla schiettezza, si descrive la vita da piccoli malavitosi che in certe zone del nostro Paese è la sola alternativa alla miseria.
E tanti di questi ragazzi confessano candidamente che quella è la vita che sanno fare e non ne hanno mai conosciute altre: ma se gli adulti fuori non riusciranno a proporgli qualcosa di diverso, se continueranno a pensare che la soluzione sia il carcere, è difficile immaginare che Karim e Edoardo e quelli come loro possano salvarsi.

Ornella Favero (ornif@iol.it)

Nella mia esperienza ho conosciuto tre tipi diversi di malavita. Ho saputo dell?esistenza dei boss ma non ne ho mai incontrato uno. Vengono, infatti, chiamati ?ombre? perché si confondono tra le persone comuni. Sono soliti avere anche lavori ritenuti onesti e rispettabili mentre conducono parallelamente affari disonesti, legati all?ambiente mafioso.
Esiste un tipo di vita malavitosa molto più evidente, che ha come luogo di azione la strada. Ed è proprio nella strada che, al contrario dei boss, gli ?scugnizzi? agiscono sotto il comando degli stessi che dirigono gli affari.
Questi affari riguardano la droga, la prostituzione e il pizzo. Ho incontrato questa vita lungo il mio percorso e ormai sono sette anni che condivido tutto questo con altre persone. Sono dentro questo sistema ed ormai è difficile uscirne perché ci sei abituato, ne fai parte.
Io ho conosciuto questo mondo attraverso mio fratello che ora sta a Regina Coeli. Io obbedisco soltanto a lui, non ho altri capi all?interno del gruppo, solo mio fratello.
L?attività principale è il trasporto di droga. La prima volta avevo nove anni e stavo insieme a due ragazzi più grandi: uno è sceso prima dal treno con il telefono, poi sono sceso io e poi uno dietro. Di solito questi trasporti si fanno in tre, ma noi facevamo finta di non conoscerci. Siamo tutti vestiti bene e camminiamo uno davanti per vedere se ci sono borghesi o cani evidentemente per attirare la loro attenzione scappando, così i poliziotti seguono lui che, però, non ha nulla.
Al centro c?è chi trasporta la droga e dietro c?è quello che guarda se qualcuno ti segue. Detto così sembra facile, ma quando ti ci trovi è difficile, anche se prima o poi ci si abitua.
Penso che continuerò a fare questa vita perché è l?unico modo per avere tanti soldi anche da mandare ai miei familiari che sono un botto.

Karim
Istituto penale minorile di Catanzaro

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