Figli, media e politica

E l’ultimo spenga la luce

Appena il ministro Giorgetti ha ipotizzato più sgravi alle famiglie con figli, la stampa si è chiesta a quanto ammonta "il conto" per single, anziani, separati. Ci stiamo costruendo un nuovo nemico, i figli? No, ma certamente c'è una «incapacità di capire che i figli degli altri sono anche figli nostri e che di essi dobbiamo farci carico oggi se vogliamo che essi si facciano carico di noi domani», dice il sociologo ed ex ministro Arturo Parisi

di Sara De Carli

Arturo Parisi

Chi paga? Non ce lo chiediamo mai davanti alle promesse di nuovi bonus, sgravi fiscali, contributi. In un mondo a risorse finite, è evidente che quando le finanze pubbliche mettono risorse su un tema, devono rinunciare a metterle su un altro. A volte addirittura capita che per metterle su quello, le debbano spostare da altro. Eppure la domanda sul “chi paga?” non ce la siamo fatta davanti a quota 100 né davanti al 110%. Invece in questi giorni la domanda campeggia a caratteri cubitali nei titoli dei quotidiani, accanto alla proposta del ministro Giorgetti di più sgravi alle famiglie con figli. I giornali questa volta e solo questa hanno prontamente fatto il conto di quanto tale ipotesi (perché per ora è solo questo) peserà su single, anziani e separati. Come se i figli fossero il nemico. O quantomeno il rivale.

Sotto il titolo

Il problema non è tanto un singolo titolo, quanto l’atteggiamento e la retorica sottostante, che stanno diventando sempre più diffusi e sempre più espliciti, sintomo di due questioni. Da un lato il dato di fatto per cui, essendo i figli ormai pochi e di pochi, la maggioranza delle persone in prima istanza sente il tema come distante, come qualcosa che non le riguarda e che anzi toglie loro qualcosa. Dall’altro una politica che fatica a fare quello che per definizione dovrebbe fare, visto che la politica ha esattamente il compito di individuare e scegliere delle priorità, ma anche quello di ricomporre le esigenze e gli interessi particolari delle singole categorie, dentro una visione d’insieme. Comune.

Come ripete da anni Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, il problema però è che ormai «pensiamo che il bene comune sia la somma degli interessi particolari. L’interesse delle imprese, più quello delle banche, più quello dei sindacati, più quello dei media, più quello delle associazioni, più quello delle famiglie, più quello degli immigrati, più quello degli immigrati, più quello dell’Europa… uguale “il bene comune”. Ma non è così che funziona. Il bene comune è il salto di qualità che ci manca. Il denominatore comune da cui ripartire. Oltre gli schieramenti. Oltre le differenze. Oltre i partiti. Oltre il Nord e il Sud, che da troppo tempo vanno per conto loro». Il bene comune dell’Italia sono i figli, lui ne è convinto e non si stanca di dirlo.

Un mondo a risorse finite

Ce n’è abbastanza per cercare di ragionarci meglio, con qualcuno che di sociologia e politica si occupa da una vita: Arturo Parisi, classe 1940, già ordinario di Sociologia dei fenomeni politici all’Università di Bologna, a lungo deputato, inventore dell’Ulivo con Romano Prodi, ministro della Difesa tra il 2006 e il 2008.

La norma è il sostanziale disinteresse al futuro che va spingendo “la Nazione”, termine più esatto di quello che un tempo chiamavamo “il Paese”, verso una situazione del tipo “l’ultimo spenga la luce”

Arturo Parisi, sociologo, ex ministro

«La domanda sul “chi paga” è veramente un’eccezione. Di solito i provvedimenti di spesa, quale sia il Governo di turno, vengono presentati e vantati come elargizioni sovrane senza che ci sia riferimento all’origine delle risorse che ne assicurano la copertura», osserva Parisi. In questo, di regola, c’è un «contributo determinante, diciamo pure complicità, della maggioranza dei mezzi di informazione, che abituati al fatto che la necessità di dar conto della copertura reale delle spese è tutto fuori che ovvia, distraggono i cittadini dal fatto che piaccia o non piaccia il mondo in cui viviamo è appunto “un mondo a risorse finite”». La norma quindi, annota con amarezza Parisi, è «il sostanziale e consolidato disinteresse al futuro che va spingendo “la Nazione”, termine in questi casi più adatti di quello che un tempo chiamavamo “il Paese”, verso una situazione del tipo “l’ultimo spenga la luce”».


Anestetizzati dai numeri

Una metafora di grande impatto, per dire che «anestetizzati da una descrizione della crisi demografica affidata troppo spesso a fredde illustrazioni di dati statistici, un numero crescente di italiani si è abituato ad appoggiare il proprio futuro sulle spalle di figli che per i più vari motivi altri si sono trovati a mettere al mondo».

Un numero crescente di italiani si è abituato ad appoggiare il proprio futuro sulle spalle di figli che per i più vari motivi altri si sono trovati a mettere al mondo

Arturo Parisi, sociologo, ex ministro

Non c’è noi e loro che tenga quindi. Chi i figli non li ha, dei figli degli altri beneficerà. «Più che a una contrapposizione con la generazione futura, quello al quale assistiamo è una incomprensione all’interno della generazione presente e alla incapacità di capire che i figli degli altri sono anche figli nostri e che di essi dobbiamo farci carico oggi se vogliamo che essi si facciano carico domani di noi. Non solo in un lontano e astratto “domani”, ma anche in quello immediato e concreto». Con buona pace di noi titolisti.

Arturo Parisi, foto di Genni/Agenzia Sintesi

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