Formazione

E li chiamavano avanzi

500 volontari, 16 centri: così la Fondazione ha sfamato 860 mila persone. E per contribuire, il 27 novembre basta fare la spesa e consegnare il sacchetto pieno

di Barbara Fabiani

“A buttare il pane si fa peccato”, dicevano i nostri nonni quando eravamo bambini. Nell’era dell’abbondanza, invece, lo spreco è la norma. Fa parte integrante dei processi produttivi, delle regole del consumo. Per fortuna, anche ai nostri giorni c’è qualcuno che pur non essendo nonno s’indigna, si sorprende. Soprattutto pensando a quei sette milioni di italiani che vivono sotto la soglia dell’indigenza e al milione e mezzo di poveri estremi che difficilmente riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. Ogni anno molti di loro vengono assistiti e letteralmente sfamati grazie agli aiuti alimentari ricevuti da associazioni e enti caritativi, che “girano” a chi non ha più nulla quello che per molte aziende è considerato in eccedenza o fuori mercato sebbene sia in ottimo stato. Tra questi ghostbuster anti spreco c’è la Fondazione Banco alimentare: quasi una holding della solidarietà presente in venti città e sedici regioni che può contare su una rete agilissima di 100 mila volontari e distributori. Sono loro che ogni anno entrano in campo per la Giornata della Colletta alimentare (l’edizione ’99 sarà sabato 27 novembre) organizzata dal Banco in tutt’Italia: una raccolta nazionale di alimenti (vedi box) in collaborazione con 1500 supermercati che servirà a sfamare migliaia di poveri. Quest’anno, la formichina che sorregge il sacchetto della spesa, logo della Fondazione, compie dieci anni, ma la sua storia è ancora più vecchia e comincia al di là dell’Oceano. Nel 1967 a Phoenix, in Arizona, padre John Van Hengel ebbe l’idea di realizzare una “banca del cibo”, per raccogliere le eccedenze della produzione alimentare e ridistribuirle ai poveri; un modo per trasformare in azione concreta lo sdegno per lo spreco e dargli una forma propositiva. Nel 1994 l’iniziativa sbarcò in Europa, a Parigi, e presto si diffuse in altre 9 nazioni. In Italia prese il nome di Fondazione Banco alimentare, nata grazie alla collaborazione tra Danilo Fossati, presidente della Star, e monsignor Luigi Giussani, fondatore del movimento Comunione e Liberazione. In 10 anni il Banco è riuscito a sostenere 4735 associazioni e gruppi caritativi che da esso ricevono rifornimenti alimentari con cui si sfamano migliaia di poveri, senza fissa dimora, immigrati, anziani e quant’altri vivono in condizioni di indigenza ed emarginazione. Oggi sono oltre 860 mila le persone che ricevono questo aiuto. Da dove vengono gli alimenti? Le vie dello spreco sono impensabili. Ci sono le tradizionali eccedenze, come gli stoccaggi non smaltiti di prodotti stagionali, gli accumuli di invenduti presso la grande distribuzione, i prodotti prossimi alla scadenza; ma ci sono anche eccessi più “moderni”: prodotti la cui confezione presenta errori di stampa o che deve essere cambiata per motivi di immagine; cibi commestibili ma che non rispettano alcuni standard aziendali (variazioni percentuali di sali e di aromi); “campioni gratuiti” avanzati da qualche campagna promozionale. Gli oltre 500 volontari fedeli su cui il Banco alimentare può contare tutto l’anno, si occupano di organizzare il ritiro della merce dalle quasi 200 aziende produttrici e catene di distribuzione che collaborano con questa organizzazione, a cui si aggiungono periodicamente anche le risorse alimentari recuperate con l’aiuto dell’Aima (Azienda italiana mercato agricolo), l’ente che gestisce le eccedenze della produzione agricola italiana ed europea (che diversamente andrebbero tutte al macero). La merce viene raccolta nei magazzini dei 16 comitati regionali del Banco Alimentare e in poco tempo è caricata su camion e mezzi frigoriferi per essere consegnata alle organizzazioni beneficiarie sparse in tutt’ltalia. I prodotti “sprecati” recuperano così il loro valore perché di nuovo destinati alle persone e al loro bene (ecco il messaggio morale del Banco: tutto e tutti hanno un valore). In questo modo lo scorso anno sono state ridistribuite 28 mila tonnellate di alimenti. «Aiutiamo ad aiutare», sintetizza Marco Lucchini, direttore generale del Banco. «Siamo di sostegno a quelli che hanno saputo organizzare con le proprie forze una risposta per chi ha bisogno di aiuto, un rapporto di sussidiarietà che chiediamo allo Stato di riconoscere anche a noi». A questo proposito, delle aperture cominciano ad esserci. Lo segnala l’intervento della ministra Livia Turco durante l’incontro pubblico organizzato dal Banco in occasione del proprio anniversario, quando ha ammesso che sarebbe opportuno da parte delle istituzioni «guardarsi intorno» per fare il punto di quello che già offre sul territorio la società civile, e così riavvicinarsi al volontariato. Lo Stato dovrebbe, ha detto la ministra Turco usando un gioco di parole, «riconoscere queste realtà, valorizzarle e accompagnarle nel loro impegno». Parole molto apprezzate dai rappresentanti del Banco alimentare che non dimenticano, però, come la collaborazione tra volontariato e istituzioni non passi unicamente attraverso la volontà politica, sempre fondamentale, ma anche da riforme tecnico-amministrative. «La troppa burocrazia fa male al non profit», sottolinea Lucchini. «Lo rallenta, lo condiziona e lo costringe spesso a sacrificare quella intraprendenza nei ricercare soluzioni innovative che invece ne è la risorsa più vitale». Concludendo, al momento di soffiare sulle candeline non rimane che conoscere i progetti che il Banco alimentare si augura di realizzare. Niente sprechi – naturalmente – in esagerati programmi di ampliamento, piuttosto si punta al rafforzamento delle strutture esistenti e al miglioramento dell’organizzazione attraverso l’uso dell’informatica per gestire in minor tempo e con più efficacia le offerte e le richieste dei prodotti. Si vorrebbero anche acquistare altri camion e mezzi frigoriferi. Passi avanti per far avverare il desiderio più grande, quello di arrivare a distribuire 50mila tonnellate di alimenti. •


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