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E le armi si sono arrugginite

Pacifista e ribelle, lo scrittore americano prova sulla sua pelle gli orrori del bombardamento. E davanti ai drammi del nostro secolo,prova a fermare la violenza con un gesto personale.

di Redazione

Kurt Vonnegut
Hanno sparato a Kennedy …

Due sere fa hanno sparato a Robert Kennedy, la cui casa estiva si trova a dodici chilometri dalla casa in cui vivo tutto l’anno. È morto la notte scorsa. Così va la vita.
Un mese fa hanno sparato a Martin Luter King.
È morto anche lui. Così va la vita.
E ogni giorno il governo del mio Paese mi comunica il numero dei cadaveri prodotti dalla scienza militare in Vietnam. Così va la vita.
Mio padre morì molti anni fa, di morte naturale. Così va la vita. Era un uomo dolce. Era anche un fanatico di armi. Mi ha lasciato le sue armi.
Si sono arrugginite.

Kurt Vonnegut
“Mattatoio n. 5 o la crociata dei bambini”
Oscar Mondadori, p. 202

A ll’autore di queste parole capitò di vivere un’esperienza limite: lui, giovane soldato americano prigioniero dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale, ebbe modo di assistere al bombardamento alleato sulla città di Dresda. Fu, come sappiamo, un’ecatombe addirittura superiore, per numero di vittime, all’esplosione nucleare di Hiroshima.
L’esito militare risultò nullo: già il giorno dopo, dalla stazione di Friedrichstadt i convogli cominciarono a ripartire con regolarità sostenendo l’estrema difesa nazista.
Perché ho scelto questo brano? Innanzitutto a causa della continuità della violenza umana che lo scrittore intende esprimere: Kennedy, Luther King e il Vietnam rappresentano, come tristi maschere novecentesche, una progressione fungibile con cento altre in ogni epoca. C’è poi, nelle ultime righe, il tentativo di rompere la serialità storica con un gesto individuale (“Mi ha lasciato le sue armi. Si sono arrugginite”).
Noi sappiamo l’inutilità di tali risoluzioni, ma ciò non deve indebolire il proposito di compierle; al contrario, proprio la lucida consapevolezza che il prevalere degli istinti ferini, da una parte, e il dominio della ragion di Stato, dall’altra, non sarà certo fermato dal gesto di un solo individuo, ci costringe ad alzare la voce.
Il grido di Kurt Vonnegut si sente ancora oggi: non è detto che una sua pur debole eco non possa essere giunta perfino nelle carlinghe dei caccia che, pochi mesi fa, volavano su Belgrado. Così va la vita.

Kurt Vonnegut:
reporter, sognatore e pacifista

Kurt Vonnegut nasce a Indianapolis, nello Stato dell’Indiana, l’11 novembre 1922. Figlio di un ricco architetto, inizia a scrivere al liceo. Nel 1943 Vonnegut si arruola nell’esercito. Viene fatto prigioniero dell’esercito tedesco che lo cattura durante una battaglia e invia a Dresda. La città della Germania dell’Est che l’esercito alleato bombarda nel febbraio del 1945 che Kurt, scampato alla morte nascosto nella cella di un macello, lascia nel maggio dello stesso anno. Tornato negli Stati Uniti, sposa l’amica di infanzia Marie Cox e con lei si trasferisce a Chicago. Quando l’università rifiuta la sua tesi di laurea, Vonnegut si trasferisce a New York, inizia a lavorare come giornalista alla General Electric e, nel 1950, pubblica il suo primo racconto di fantascienza Report on the Barhouse Effect. Il libro gli apre le porte del successo. Tra le altre opere più famose: le Sirene di Titano, (1959), Ghiaccio nove (1963), Mattatoio 5 (1969) , La colazione dei campioni (1973), Un pezzo da galera (1979) e Hocus Pocus (1990) .

Eraldo Affinati:
la responsabilità dell’artista

Eraldo Affinati (Roma 1956), è insegnante, scrittore e giornalista. Dopo aver lavorato per quattro anni in un’azienda automobilistica, si è dedicato all’insegnamento di italiano e storia nelle scuole superiori. Negli anni Ottanta ha iniziato a collaborare a giornali e riviste scrivendo di calcio e recensendo spettacoli teatrali. Il suo debutto avviene presso la casa editrice Marietti nel 1992 con Veglia d’armi, L’uomo di Tolstoj, cui seguirono i romanzi Soldati del 1956 (Marco Nardi 1993) appena ristampato negli Oscar Mondadori, e Bandiera bianca (Mondadori, 1995 – Leonardo, 1996, Premio Bergamo 1996). Nel 1996 è uscito un suo studio sulla poesia di Milo De Angelis: Patto giurato (Tracce) e nel 1997 Campo del sangue (Mondadori) con il quale è stato finalista ai premi Strega e Campiello. Affinati concepisce la scrittura come un atto di conoscenza integrale e afferma la responsabilità dell’artista, al pari dell’uomo d’azione.

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