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E la testimonianza scoprì la politica

Sergio Marelli. Dall’esperienza come volontario in Burundi, alla presidenza delle ong italiane. Dieci anni a vincere la nostalgia per il lavoro sui progetti...

di Sergio Marelli

Per un volontario rientrato dopo sei anni di Burundi quale il sottoscritto, ritornare a 10 anni orsono è innanzitutto ricordare la speranza accesa dalle libere, le prime, elezioni presidenziali di quel Paese dopo due decenni di dittatura militare e un secolo di colonialismo di varie bandiere. La presa del potere con votazioni democratiche rispettate nel loro esito finale, merito che va ascritto all?allora presidente in carica Maggiore Pier Buyoya, del primo presidente della Repubblica appartenente alla etnia hutu, sembrava il coronamento del lavoro delle centinaia di volontari e missionari di diverse nazionalità che avevano quotidianamente orientato il loro lavoro e la loro presenza alla affermazione della pari dignità e pari giustizia per tutta la popolazione burundese.
Speranza che poi tutti ricordiamo essere stata bruscamente e immediatamente spenta dall?attentato all?aereo presidenziale con a bordo il neo eletto presidente del Burundi e quello ruandese nell?aprile del 1994. Gli eventi e il conflitto, forse mai definitivamente sopito, che si riacutizzarono a seguito di questo duplice omicidio, insanguinano ancor?oggi i popoli di questi Paesi.
E’ a quest?epoca e dentro questo clima che risale la mia ultima missione di valutazione di un progetto della Focsiv: si voleva valutare il nostro intervento nei campi profughi e rifugiati che affollavano i confini dei due Paesi per accogliere le centinaia di migliaia di persone ancora una volta costrette a scappare dalla loro terra e sradicarsi dal loro passato. All?epoca, infatti, ero il coordinatore del settore programmi della Focsiv e il volere della presidenza della federazione era quello di verificare in prima persona il contesto di intervento che, per la prima volta, manifestava un fenomeno che si sarebbe poi dimostrato essere quello più ricorrente nelle situazioni di gestione delle emergenze e degli aiuti umanitari: il ?sovraffollamento? delle agenzie e degli organismi di aiuto umanitario accorse in aiuto delle popolazioni martoriate dalla guerra di quella regione.
In Ruanda, infatti, in maniera inedita rispetto al passato, si era verificata una situazione per la quale la duplicazione e il mancato coordinamento degli aiuti rischiavano di ingenerare caos e sprechi ben lontani dai canoni e dai criteri deontologici e manageriali che primi si devono utilizzare nell?intervenire in contesti già di per sé molto complessi. La ?sopraffazione? delle ong presenti sul territorio da lungo tempo, e quindi maggiormente conoscitrici del contesto e delle dinamiche locali, da parte delle potenti organizzazioni umanitarie, soprattutto nordeuropee, la successiva decisione del governo locale di regolamentare, ovvero controllare, le ong idonee a lavorare sul campo, la concorrenzialità sfrenata, a volte scorretta, nella raccolta fondi tra i privati in Europa e in Italia furono alcune delle questioni che da allora permangono dentro il dibattito e l?operatività delle organizzazioni non governative.
Ultima missione di stretta attinenza al lavoro dei progetti, perché personalmente dopo questa sono tornato molte altre volte nei Sud del mondo, ma con mansioni e obiettivi molto diversi avendo assunto, nella primavera del 1994, la carica di direttore generale della Focsiv e di membro della delegazione delle ong italiane presso la Comunità europea con la delega per le questioni relative al finanziamento dei progetti.
Ero alle prese con problemi ?politici?. E il primo in cui mi trovai coinvolto fu la decisione dell?allora Presidente della Focsiv di assumere un ruolo politico nel senso stretto della parola. Si apriva la campagna elettorale di Rutelli a sindaco di Roma e Amedeo Piva venne chiamato nella sua ?squadra? alla carica di assessore alle Politiche sociali. Per la nostra realtà era la prima volta nella quale misurarsi concretamente con una scelta di questo tipo. Il più volte invocato bisogno di ?sporcarsi le mani? con le scelte della politica attiva, di traslare i nostri valori e la nostra cultura dentro il ?palazzo?. Fu un dibattito serrato, non privo di condizionamenti esterni, sicuramente arricchente per tutto il nostro mondo. Quel periodo è stato un tempo significativo per me personalmente e per l?insieme dei nostri organismi. Un tempo forse che ancora oggi può indicare orientamenti e suggerire stimoli alle istituzioni e alla politica, senza dubbio a noi per come far sì che i mille volti incontrati nei Sud del mondo restino il punto di riferimento di ogni nostra azione e impediscano il facile adagiarsi su piccoli o grandi risultati già raggiunti.

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