Provo grande pietà umana per Eluana, e anche per i suoi cari. La sua vicenda terrena forse (ma non è detto nel momento in cui scrivo) sta per concludersi nel modo più controverso e doloroso. Spero non per lei, anche se neppure su questo punto esiste certezza assoluta, ma solo tesi contrapposte, giorno dopo giorno, instancabilmente, in contrasto con la sua quiete, con la sua impossibilità, oggi, di confermare la sua volontà, di chiarirla, di comunicare. Nessuno davvero può ritenersi vincitore. Nessuno canti vittoria, ma nessuno si dichiari sconfitto. Eluana ha contribuito, senza parlare, a un dibattito come in Italia mai si era visto, neppure per il caso Welby, attorno alla vita e alla morte, attorno al concetto di volontà, di diritto individuale, di bene indisponibile (la vita). Io stesso ho cercato nel tempo di confrontare le mie idee iniziali con quanto di volta in volta potevo apprendere da competenze, da culture diverse, da stati d’animo, da testimonianze. Ho coltivato il dubbio, sempre, mai la certezza. E anche oggi resto nel dubbio, rispetto alla singola vicenda, a questo specifico caso. Immagino che in molte altre situazioni le decisioni estreme siano state prese nel silenzio, in modo soffice, senza clamori, probabilmente con modalità differenti da queste. Ora sappiamo molto di più su idratazione e alimentazione, ma non sappiamo ancora abbastanza per decidere in modo giusto, se non in base alle nostre convinzioni etiche, o religiose. Il Parlamento deve colmare il vuoto legislativo. I magistrati hanno agito in questo vuoto. La politica ha parlato, ma non ha deciso. Il rischio è che dopo il caso di Eluana, spenti i riflettori, si preferisca rimandare un tema, quello del testamento biologico, che divide trasversalmente le forze politiche. Questo sì che sarebbe l’ultima atroce offesa ad Eluana e a chi, come lei, vive oggi ai limiti della vita, ai confini della morte. Il mistero della nostra esistenza è ancora, fortunatamente, intatto.
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